La glicemia si misurerà nella saliva

Pungersi il dito per misurare la glicemia non fa certo piacere a nessuno, tantomeno se occorre farlo più volte al giorno come accade a molti diabetici. Quando sarà pienamente sviluppato un nuovo biochip messo a punto da un ingegnere italiano della Brown University di Providence, negli Stati Uniti, forse non sarà più necessario farlo: il sensore infatti potrà misurare il glucosio (ma anche altre sostanze) nella saliva.

PLASMONICA – I risultati delle ricerche di Domenico Pacifici, ingegnere catanese trapiantato oltreoceano, sono stati pubblicati sulla rivista NanoLetters e raccontano di un apparecchio molto speciale, che anche nel nome ha qualcosa di fantascientifico: si tratta infatti di un sensore a base di migliaia di minuscoli “interferometri plasmonici”, che posti su un biochip sono in grado di misurare la concentrazione delle molecole di glucosio nell’acqua in quantità simili a quelle che si trovano nella saliva (dove il glucosio è circa 100 volte meno concentrato rispetto al sangue). Un passo indietro, e la necessaria spiegazione di che cosa sia la “plasmonica di superficie”: si tratta di una scienza che studia l’interfaccia fra luce (fotoni) e metallo, indagando che cosa accade quando un fascio luminoso colpisce una superficie metallica e i suoi elettroni. Ogni interferometro plasmonico è stato costruito da Pacifici “scolpendo” una fessura larga circa 100 nanometri (oltre cento volte meno rispetto a un capello) in un pezzetto di metallo; sui lati della fessura sono state intagliate due ulteriori scanalature di 200 nanometri. La fessura “cattura” i fotoni luminosi e le scanalature li disperdono facendoli interagire con gli elettroni liberi del metallo: l’interazione elettrone-fotone genera il plasmone di superficie, che (semplificando) è una sorta di onda sottile, che si muove nella fessura andando a incontrare gli altri fotoni luminosi che arrivano dall’esterno. Pacifici, per spiegarlo, usa l’immagine di due onde oceaniche che collidono arrivando da direzioni diverse: quando due onde “interferiscono” in questo modo, la luce trasmessa attraverso la fessura si modifica nei suoi minimi e massimi; se sulla superficie del chip c’è glucosio o una qualsiasi altra sostanza, l’interferenza delle due onde è “disturbata” e questo si manifesta con una differenza nell’intensità di luce, che è misurabile e soprattutto correlata alla concentrazione della sostanza.

PROTOTIPO – Molto complicato, va detto, ma il concetto alla fine è che il glucosio presente riesce a modificare l’intensità luminosa sul biochip in maniera quantificabile. I ricercatori sono stati in grado di “sintonizzare” le migliaia di interferometri plasmonici sul sensore per misurare concentrazioni di glucosio nell’acqua pari a 0.36 milligrammi per decilitro (la glicemia ha valori di decine di milligrammi per decilitro): significa che è possibile, con opportuni aggiustamenti, riuscire prima o poi a fare dosaggi nella saliva dove le concentrazioni sono di quest’ordine di grandezza. Gli ingegneri sono già al lavoro sul prototipo definitivo per la misurazione del glucosio, che potrebbe essere solo uno dei composti valutabili nella saliva con gli interferometri plasmonici: «Potremo usare questi biochip, molto piccoli e maneggevoli, per il dosaggio di biomarcatori multipli, facendo misurazioni in parallelo e tutte in una volta con una elevatissima sensibilità», spiega Pacifici. Che sottolinea anche come il sensore potrebbe rivelarsi utile per rilevare sostanze pericolose nelle acque. Insomma, le prospettive sono molte e interessanti: forse presto avremo davvero il glucometro “da bocca”, per dire addio alle punture.

 

di Elena Meli

da Corriere della sera.it