La legislazione “diabetologica” italiana
Il 16 marzo 1987 veniva pubblicata la Legge n. 115 “Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete mellito”1 che dava mandato alle regioni di predisporre, nell’ambito dei rispettivi piani sanitari e dei limiti finanziari indicati dal fondo sanitario nazionale, progetti-obiettivo, azioni programmate e altre idonee iniziative dirette a fronteggiare la malattia del diabete mellito, considerata di alto interesse sociale. Gli interventi avrebbero dovuto essere rivolti alla prevenzione e alla diagnosi precoce della malattia diabetica; al miglioramento delle modalità di cura dei cittadini diabetici; alla prevenzione delle complicanze; ad agevolare l’inserimento dei diabetici nelle attività scolastiche, sportive e lavorative; ad agevolare il reinserimento sociale dei cittadini colpiti da gravi complicanze post-diabetiche; a miglio- rare l’educazione e la coscienza sociale generale per la profilassi della malattia diabetica; a favorire l’educazione sanitaria del cittadino diabetico e della sua famiglia; e infine provvedere alla preparazione e all’aggiornamento professionale del personale sanitario addetto ai servizi.
Questa legge poneva l’Italia del 1987 all’avanguardia mondiale per quanto riguardava l’applicazione dei principi di tutela della salute del paziente diabetico. Il contesto normativo che ha avuto inizio con la legge 115 è stato fortemente condizionato dalla riforma del titolo V della Costituzione avvenuta con legge costituzionale, dove all’art. 3 viene modificato il dettato dell’art. 117 Cost. che ricomprende, tra le materie sottoposte al principio della “legislazione concorrente”, anche la tutela della salute. Tale principio stabilisce che “…(omissis)… spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato …(omissis)…”. La nuova impostazione prevede che lo Stato, attraverso i suoi organi legislativi e amministrativi (Parlamento e Governo tramite i Ministeri competenti), fornisca i principi generali ispiratori, le indicazioni programmatiche e, in materia sanitaria, i Livelli Essenziali Assistenziali (LEA), demandando poi a ciascuna regione l’organizzazione attuativa della rete assistenziale sanitaria e socio-sanitaria per il rispetto di tali livelli sul territorio regionale salvaguardando l’uniformità di comportamento attraverso la corretta e puntuale applicazione dei LEA e attraverso un confronto permanente tra il Ministero della Salute e le regioni, in sede di conferenza Stato-Regioni. La conferenza Stato-Regioni con il Piano Nazionale di Prevenzione Attiva (2004- 2006) si poneva in un’ottica di promozione e di incremento della diffusione dei programmi di prevenzione e di adesione consapevole da parte dei cittadini con particolare riferimento alle seguenti aree di intervento: rischio cardiova-scolare, screening oncologici, complicanze del diabete e attività vaccinale. Il successivo accordo (23 marzo 2005) non prevede più le complicanze del diabete come elemento distinto anche se permane la prevenzione del danno cardiovascolare. Questo quadro normativo ha favorito lo sviluppo di iniziative regionali che si sono sviluppate in modo disorganico e lacunoso e che solo in parte hanno raccolto le indicazioni della legge 115 e che comunque hanno determinato una differente interpretazione della stessa legge.
“La salute non è semplicemente assenza di malattia o di infermità, ma è lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale delle donne e degli uomini e della collettività che si configura socialmente e politicamente come bene comune e come diritto umano inalienabile”.
A partire da questa importante definizione le regioni dovrebbero presentare dei Piani Regionali che esplicitamente delineino le linee politiche, organizzative e amministrative di tutela e di promozione della salute della collettività. All’interno di questo riferimento com- plessivo si dovrebbe connotare un sistema di strutture, funzioni, servizi e attività tendenti a tradurre e a rendere visibili i tratti portanti e caratteristici del modello ispiratore. La mancanza di formali e organiche indicazioni programmatiche nazionali ha sfavorevolmente condizionato l’evoluzione dei sistemi socio-sanitari regionali che rimangono in attesa dei nuovi LEA. L’attuale sistema legislativo sanitario ha di fatto moltiplicato per venti (o ventuno se si considerano separatamente le province di Trento e Bolzano) le disposizioni in materia sanitaria con conseguente dispersione di risorse e possibili disparità nel trattamento. La presa di conoscenza e l’analisi delle diverse realtà regionali può aiutare, evidenziando le differenze, a rendere più omogeneo il trattamento che tutti i pazienti diabetici dovrebbero ricevere. Negli anni dopo la legge 115 solo due sono state le disposizioni “nazionali” che hanno mantenuto un’omogeneità seppur fragile del trattamento dei pazienti diabetici sul territorio nazionale: il Nuovo Codice della Strada (1993 e successive modificazioni) e il progetto IGEA (2007). Nel primo caso la risposta legislativa alla circolare ministeriale (4 maggio 2006) inviata a tutti gli Assessorati Regionali è stata positiva solo in Lombardia e Piemonte. Mentre il più recente progetto IGEA ha favorito una risposta più consistente (10 atti sulla Gestione Integrata).
In conclusione, l’analisi dei dati a nostra disposizione dimostra come sia indispensabile a livello centrale la produzione di “linee di indirizzo” che facilitino il compito legislativo delle amministrazioni locali tracciando una falsa riga che utilizzi le “migliori” risorse prodotte dal Paese e le traduca in modelli aggiornati e condivisi.
A. Bruno
SVD Gestione Complicanze del Diabete, AOU San Giovanni Battista, Torino
Corrispondenza: dott. Alberto Bruno, Coordinatore Centro Unificato di Diabetologia, AOU S. Giovanni Battista di Torino Antica Sede, via Cavour 31, 10125 Torino
Liberamente tratto ed adattato da G It Diabetol Metab 2010;30:184-187