La liberazione dei ciccioni
Chirurgia bariatrica: un termine che deriva dal greco baros, peso, unito a iatros, medico. La chirurgia che riduce il peso, per curare le persone con grande obesità, con indice di massa corporea (IMC o BMI, in inglese) superiore a 35-40 chilogrammi per metro quadro di superficie corporea, con un intervento per diminuire il volume dello stomaco o l’assorbimento degli alimenti nell’intestino, e far perdere decine di chili di troppo.
La chirurgia è efficace per perdere peso, fuor di ogni dubbio. Quello che oggi è in discussione è se lo sia anche nella cura di un’altra malattia, che spesso si accompagna all’eccesso ponderale: il diabete. Secondo due studi, uno italiano, pubblicati di recente sul New England Journal of Medicine, sembrerebbe di sì. Nelle persone molto obese e con diabete, l’intervento bariatrico risulta più efficace dei farmaci. Finora sapevamo che la chirurgia bariatrica è in grado di far scomparire il diabete, entro 2 anni dall’operazione, nell’82% delle persone molto obese e che nel 62% dei casi il diabete non ricompare dopo i 2 anni. Tanto è vero che le linee guida internazionali e italiane includono l’intervento chirurgico tra le raccomandazioni per la cura di diabete tipo 2 in persone con obesità grave.
Questi nuovi studi sono importanti, anche se non conclusivi, perché confrontano, alla pari, gli effetti del bisturi con quelli dei farmaci, cosa sinora mai fatta. L’unico dubbio da dirimere riguarda il tipo di intervento chirurgico. Entrambi sono stati condotti con operazioni particolarmente invasive, non adatte a tutti. Questi risultati andrebbero confermati da studi che adottino interventi meno impegnativi. Ci auguriamo, comunque, possano avere un impatto positivo sul ricorso alla chirurgia bariatrica. Secondo un’analisi, condotta insieme ai colleghi Luca Busetto, Paolo Sbraccia e Lucia Frittitta, pubblicata su Obesity Surgery, in Italia si ricorre a quest’intervento solo nell’1% dei pazienti che potrebbero trarne beneficio. Ce ne siamo chiesti le ragioni: dalla scarsa conoscenza, alla riluttanza del paziente, alla mancanza di dati sufficientemente chiari sul possibile risultato. Oggi, almeno, quest’ultima scusa sembrerebbe venire meno.
di Antonio Pontiroli
Direttore cattedra di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Milano,
Primario di Medicina II, Azienda Ospedaliera Polo Universitario San Paolo