La nostra pelle come sito per le cellule beta
In questi giorni sulla prestigiosa rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) è uscito un importante lavoro per l’utilizzo della nostra stessa pelle come sito per il trapianto delle cellule beta per la cura del T1D.
Potenzialmente, il posto ideale per il trapianto delle isole sarebbe quello dello stesso nostro pancreas. Tuttavia, è ben noto che una possibile introduzione di cellule esogene direttamente in quest’organo è davvero poco efficiente. Infatti la maggior parte del tessuto del pancreas è costituito da cellule che producono enzimi digestivi in grosse quantità, in grado di “bruciare” tutte le cellule isolate introdotte ancor prima che la neovascolarizzazione le possa tenere in vita, ed ancor prima di un eventuale riconoscimento da parte di cellule immunitarie con auto-anticorpi che abbondano l’organo. Il sito che normalmente viene impiegato e che ha dato finora migliori risultati è il fegato. Nel fegato però oltre il 60% delle isole impiantate in clinica viene perso entro pochi giorni dal trapianto, rendendo necessari almeno due o tre donatori per far attecchire un numero sufficiente di isole.
I ricercatori dell’Istituto di Biomateriali e Ingegneria Biomedica (IBBME) dell’Università di Toronto dimostrano con questo lavoro di essere riusciti a predisporre una metodologia efficiente per il trapianto delle cellule beta del pancreas direttamente sotto la pelle. La pelle ha il grosso vantaggio di essere facilmente accessibile e gestibile nel tempo. Lo spazio sotto la pelle inoltre ha un’ampia area in modo da poter sostenere e vascolarizzare molte isole. I risultati mostrano come la pelle presenta meno rischi di perdita di cellule all’impianto rispetto ad altri siti di trapianto quali fegato ed omento.
Nello studio si è visto come gli isolotti pancreatici inseriti sotto la pelle riescono a normalizzare la glicemia dopo 3 settimane, ma a patto che venga indotta la formazione di un numero adeguato di nuovi vasi sanguigni. Questo in linea con la fisiologia del processo. Infatti le isole pancreatiche pur comprendono solo l’1% circa dell’intero pancreas, richiedono però il 15-20% del flusso sanguigno all’organo. E’ necessario pertanto garantire un adeguato flusso di sangue agli isolotti impiantati per farli funzionare adeguatamente.
Il gruppo è riuscito nell’impresa attraverso un processo di ingegneria tissutale che riesce a creare tessuti vascolarizzati impiantabili che poi possono essere iniettati direttamente sotto cute attraverso siringhe simili a quelle utilizzate normalmente dai pazienti diabetici. I tessuti creati contenenti le cellule beta del pancreas sono essenzialmente dei cilindri di collagene fatti come “moduli”, rivestiti da cellule endoteliali (le stesse che formano i vasi sanguigni). All’impianto così le cellule endoteliali migrano e vascolarizzano la struttura in 2-3 settimane, permettono al modulo di integrarsi con la normale vascolatura cutanea e di rimodellarsi. I moduli contengono altresì cellule stromali mesenchimali come supporto necessario alla rimodellizzazione del tessuto trapiantato ed alla soppressione del rigetto.
La nuova metodologia promette di poter utilizzare la pelle come sito alternativo per l’impianto delle cellule beta rispetto al poco efficiente e non duraturo sistema che utilizza la vena porta del fegato. Il progetto adesso è stato supportato da altri 1,1 milioni di dollari dalla JDRF per sostenere la fase successiva del progetto.
[Vlahos AE et al. PNAS 2017]
a cura di Gianpiero Garau