La paura di andare “sotto”
Le ipoglicemie preoccupano molto le persone con diabete. Eppure risolverle è facile ed è possibile prevenirle e gestire il rischio di incorrere in una crisi più seria.
La sfida per la persona con diabete è mantenere la glicemia quasi normale: tra 90 e 130 mg/dl a digiuno e preprandiale, inferiore ai 180 mg/dl postprandiale. Per raggiungere questi obiettivi molte persone seguono una terapia insulinica. «L’insulina è un farmaco salvavita, ma ha aperto le porte a una sfida nuova: l’ipoglicemia», spiega Paolo Cavallo Perin, docente di Medicina Interna all’Uni-versità di Torino.
L’ipoglicemia è uno stato patologico determinato da una concentrazione di zucchero (glucosio) nel sangue troppo bassa. Questa condizione rappresenta un problema per il cervello che assorbe quasi un terzo del glucosio consumato dall’organismo e che – a differenza dei muscoli – non può utilizzare altri ‘carburanti’.
L’organismo sa come difendersi quando la glicemia scende al di sotto di certi livelli e risponde innescando la cosiddetta reazione adrenergica: una risposta simile a quellacondizione che determina un risveglio improvviso, un momento di panico, una rabbia subitanea. Questa reazione adrenergica si associa al rilascio di glucagone, un ormone secreto dal pancreas che stimola il fegato a rilasciare le sue scorte di glucosio, ristabilendo così livelli normali di glicemia. «Nella persona con diabete questa reazione è troppo lenta; i riflessi delle cellule che producono glucagone sono ‘appannati’ e la risposta arriva in ritardo», nota Cavallo Perin.
Segni premonitori e sintomi.
La fase che intercorre fra il momento in cui si avvertono i sintomi dell’ipoglicemia e quella in cui la glicemia viene ristabilita a livelli normali, è definita ‘crisi ipoglicemica’. In cosa consiste questa crisi? «Possiamo parlare di due fasi», continua il docente torinese, «nella prima la persona avverte – o dovrebbe avvertire – i segni premonitori dell’ipoglicemia. Nella seconda fase si manifestano gli effetti». «Ogni persona ha manifestazioni premonitrici soggettive», afferma Pietro Buono, diabetologo pediatra presso il Team del Servizio di Diabetologia Pediatrica del Policlinico Universitario Federico II di Napoli, «nervosismo, fame, inquietudine, rabbia, umore nero…». A questi segni fanno seguito manifestazioni più palesi: tipico è il tremore alle mani, frequente è la sudorazione ‘fredda’, la difficoltà nell’articolare le parole e disturbi alla vista. Se non si interviene, il tremore e lo stato confusionale rendono progressivamente difficile la gestione della situazione.
Correggere una ipoglicemia.
«Eppure correggere una ipoglicemia è possibile. Spesso basta assumere 15 grammi di glucosio. L’ideale è tenere sempre in tasca tre bustine di zucchero ‘da bar’. Possono andare bene alcune caramelle (ma non tutte, è essenziale che lo zucchero si sciolga subito in bocca e non sia accompagnato da grassi che ne rallenterebbero l’assorbimento) o mezza lattina di una bibita zuccherata. Quindici minuti dopo si misura la glicemia e, se questa è ancora bassa, si possono assumere altri 15 grammi di zucchero», ricorda Cavallo Perin, presidente della Società Italiana di Diabetologia. A quel punto l’emergenza ‘ipo’ è risolta, anche se la ‘giornata glicemica’ non promette nulla di buono. «infatti durante l’evento ipo il nostro organismo non è rimasto inattivo; seppure più lentamente ha ‘ordinato’ al fegato di rilasciare le sue riserve di glicogeno e trasformarle in glucosio. La somma dei due interventi, esterno e interno, porta quasi sempre a una fase di iperglicemia e di instabilità. Insomma, per qualche ora la glicemia va sulle ‘montagne russe’ e deve quindi essere controllata frequentemente» nota Edoardo Daniele, responsabile dell’Unità di Diabetologia dell’Ospedale San Giacomo di Roma.
La fiala di glucagone.
Se non si interviene tempestivamente l’ipoglicemia può diventare ‘grave’ e la persona perdere la capacità di correggerla da sola. Diventa difficile coordinare i movimenti della mano e perfino deglutire.
Il paziente può avere crisi convulsive o una estrema rigidità muscolare e raggiungere in uno stato di incoscienza.
In questa fase l’unico intervento utile è somministrare una fiala di glucagone, l’ormone naturale che porta il fegato a rilasciare i suoi depositi di glicogeno, ristabilendo nel giro di pochi minuti una normale glicemia. Le fiale sono monouso già pronte con l’ago innestato e sono disponibili in molte farmacie e in tutti i punti di pronto intervento.
«Chiunque può fare una iniezione di glucagone, l’ago può essere inserito sottocute, ma anche se il glucagone è iniettato nel muscolo non cambia nulla: non si può sbagliare», ricorda Daniele.
Ridotta sensibilità alla glicemia.
Il vero problema è un altro. «Se una persona ha frequenti ipoglicemie finisce per ‘farci l’abitudine’. I segni premonitori o vengono a mancare o sono inconsapevolmente ignorati o sottovalutati. Il risultato di questa condizione, chiamata ‘ipoglicemia silente’, è che la persona si trova immediatamente alla fase due, quella in cui i sintomi diventano chiari ma possono anche impedirle di correggere da sola l’ipoglicemia», nota Cavallo Perin.
Questa situazione non è piacevole, «la persona ha la sensazione di non poter controllare la sua vita, si sente letteralmente appesa a un filo. Sa che potrebbe trovarsi da un minuto all’altro in una situazione di estrema difficoltà», nota Pietro Buono. Esiste anche il rischio oggettivo di trovarsi, magari alla guida di un’auto o in un luogo pericoloso, con una capacità reattiva improvvisamente ridotta. «Per fortuna è possibile ristabilire una corretta percezione dei segni premonitori, evitando le ipoglicemie per alcune settimane o mesi», continua Cavallo Perin, «tornano così a farsi strada i segni premonitori, magari diversi da quelli a cui si era abituati».
Guardati dalle ipo notturne.
La causa principale di una ridotta percezione dei sintomi dell’ipoglicemia sono le ipoglicemie notturne. «La disponibilità di tracciati in continuo della glicemia (Cgms) ci ha insegnato che le ipoglicemie notturne sono più frequenti, più lunghe e più serie di quanto si credesse e sono quasi tutte asintomatiche: il paziente non si sveglia e spesso non ha nemmeno la sensazione di aver dormito troppo male, insomma, non si accorge di nulla. Non è raro trovare persone che, pensavamo in buon equilibrio glicemico, e che invece passavano diverse ore della notte sotto i 60 mg/dl», spiega Cavallo Perin.
«La reazione dell’organismo a queste ipoglicemie determina un rimbalzo che si traduce in una iperglicemia mattutina, è il cosiddetto effetto Somogy». «Il problema», interviene Edoardo Daniele, «è che, senza un tracciato notturno o perlomeno frequenti letture della glicemia effettuate fra l’una e le tre di notte, l’iperglicemia riscontrata al mattino può essere letta come un classico fenomeno alba. A quel punto il diabetologo va ad aumentare le dosi di insulina serali aggravando l’ipoglicemia notturna. Per fortuna l’introduzione di terapie basal/bolus realizzate sia con analoghi lenti sia con il microinfusore ha portato a una riduzione nell’incidenza delle ipo notturne, mentre gli analoghi rapidi praticati subito prima dei pasti, proprio per la loro farmacocinetica, proteggono dalle ipoglicemie della tarda mattinata o serata».
Prevenire le ipoglicemie è possibile.
«Oggi grazie agli analoghi dell’insulina, al microinfusore e alla conta dei carboidrati è possibile disegnare una terapia che riduce al minimo il rischio di ipoglicemie», afferma Paolo Cavallo Perin, «ovviamente il paziente deve collaborare con il Team diabetologo eseguendo numerose misurazioni della glicemia e segnando con attenzione gli eventi ipoglicemici. Se in passato si teneva il paziente ‘su di glicemia’ per un certo periodo accettando un peggioramento della glicata, oggi questo non è più accettabile».
Rischi veri e rischi percepiti.
Molti pazienti affermano, magari protetti dall’anonimato di internet, di modificare volutamente la terapia prescritta o di assumere zuccheri in eccesso con l’obiettivo di prevenire le ipoglicemie mantenendo la glicemia alta.
«Il paziente ‘cura’ l’ipoglicemia aggravando il suo diabete», sospira Pietro Buono.
Questo errore dipende soprattutto da una valutazione errata dei rischi reali: «la persona con diabete ha più paura dell’ipoglicemia che dell’iperglicemia, ma fa male», nota Cavallo Perin.
«L’ipoglicemia rende instabile il compenso glicemico e in molti casi può essere prevenuta o immediatamente corretta con l’assunzione di zucchero», sottolinea Cavallo Perin, «evitando di entrare in uno stato di sopore definito coma ipoglicemico».
Si tratta di una reazione di difesa del cervello che funziona benissimo ma ‘stacca’ la coscienza per risparmiare energia.
Sbaglia quindi i suoi calcoli chi – temendo l’ipoglicemia – rinuncia a perseguire un corretto equilibrio glicemico, «aggravando il rischio cardiovascolare e anticipando l’appuntamento con eventuali complicanze microvascolari», conclude Pietro Buono. Si arriva alla situazione paradossale in cui le persone, proprio perché vivono in una condizione di indotta iperglicemia, «finiscono per avvertire sintomi di ipo non appena la glicemia si avvicina a livelli ottimali».
da Modus online