Sono oltre due milioni e mezzo gli italiani malati. E aumentano esponenzialmente. Troppi per poter dare la colpa solo all’obesità. E gli scienziati scoprono nuove cause: inquinamento, abuso di farmaci, infezioni.
No, i numeri del diabete sono tali che non può essere soltanto un questione di dieta. Crescono troppo rapidamente, l’epidemia ha una progressione fulminea e gli addetti ai lavori sono pronti a rivedere le carte.
Sempre di stili di vita si deve parlare: il diabete è un male della contemporaneità. Ma in ballo c’è molto di più che non un’alimentazione sbagliata. E le nuove ricerche mostrano che in scena entrano fattori killer come l’inquinamento, l’abuso di antidepressivi, le infezioni. Insomma, altri elementi del vivere moderno che, messi tutti insieme, possono spiegare l’aumento vertiginoso di malati registrato nel ultimi dieci anni quasi ovunque, con paesi che hanno visto raddoppiare (talvolta, come nel caso della Russi, triplicare) l’incidenza del diabete di tipo 2, aumentare molto quella di tipo 1, anticipare sempre più il momento dell’esordio di quest’ ultimo (in Europa si è passati dai nove anni in media agli attuali cinque) e crescere di anno in anno il numero di diabeti doppi. In Italia il tipo 1 colpisce lo 0,2 per cento della popolazione, ma il 2 balza a circa il 5 percento, con valori che crescono con l’età, e i malati sono più di 2,6 milioni. Secondo l’Oms, nel 1985 i malati in tutto il mondo erano 30 milioni, 135 milioni nel 1995, nel 2001 circa 177 milioni e nel 2030 saranno 370 milioni; già oggi quattro milioni di persone muoiono ogni anno a causa della malattia. Troppi.
Per questo le vecchie teorie non bastano più. Spiega Paolo Pozzilli, docente di endocrinologia e malattie metaboliche del campus Biomedico dell’Università di Roma e docente di Ricerca diabetologica presso il Centre for Diabetes and Metabolic Medicine della Queen Mary’s School of Medicine di Londra: “Che il diabete fosse una malattia multifunzionale lo sapevamo. Ciò che non si era capito è l’importanza reale delle componenti esterne all’organismo. E’ evidente, ormai, che c’è qualcosa, nello stile di vita moderno, che non è stato compreso a sufficienza o che è tuttora ignoto, perché solo un fattore esogeno può esercitare azioni così limitate”. In molti stanno dando la caccia a questo sfuggente fattore X, anche perché la genetica non ha dato finora risposte adeguate.
Nelle ultime settimane, per esempio, due diversi studi hanno descritto rispettivamente 6 o 11 varianti di geni coinvolti nel diabete 2, che vanno ad aggiungersi a quelli già noti per entrambi i tipi. Ma i geni conferiscono più che altro una maggiore predisposizione. Spiega Pozzilli: “Nel diabete di tipo 1 la presenza di geni specifici e di una certa familiarità possono costituire un campanello d’allarme e spingere i medici a consigliare controlli serrati, ma di solito non bastano a causare la malattia. Nel tipo 2 i geni hanno un’influenza molto minore, e comunque assai più dipendente dallo stile di vita per la loro attivazione. In altre parole, anche se rivestono un ruolo importante, i geni da soli non possono spiegare l’aumento della malattia, anche perché non possono essere modificati così massicciamente e su tutta la popolazione mondiale in pochi anni. Ci deve essere qualcosa di diverso che non può essere che esogeno”.
Ma se non è una questione di geni di che cosa si tratta? Chi è che attenta quotidianamente alla salute del pancreas? La ricerca punta direttamente verso ciò che più contraddistingue lo stile di vita moderno, in primo luogo gli inquinanti chimici e fisici.
In uno studio appena pubblicato su “Diabetes Care” un gruppo internazionale di diabetologi ha considerato lo stato di salute di circa 800 persone e lo ha paragonato con le concentrazioni di 19 composti policlorurati rintracciabili nel sangue di sei persone su dieci. Risultato: più aumenta la concentrazione degli inquinanti, più sale il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e sindromi correlate, quella metabolica e quella della resistenza all’insulina. I magri sono a rischio, se hanno alte concentrazioni delle sostanze incriminate, così come i grassi lo sono di meno se non ne hanno accumulato troppe. Del resto, già negli anni scorsi diversi studi hanno mostrato che gli inquinanti possono distruggere il metabolismo di grassi e degli zuccheri, almeno in vitro.
Oltre ai contaminanti ambientali, di recente si è scoperto che le cellule beta possono essere minacciate anche da farmaci di largo uso quali gli antidepressivi. Lo ha confermato uno studio pubblicato su “Diabetes Research & Clinical Practice”, nel quale i diabetologi dell’Università dell’Alberta hanno messo in relazione l’assunzione di antidepressivi triciclici e analoghi del Prozac con l’incidenza della malattia in 2.400 persone, e visto che negli utilizzatori il rischio di diabete di tipo 2 è superiore del 30 per cento rispetto agli altri. Se poi si assumono entrambe le categorie di farmaci, il rischio raddoppia.
Gli indizi sembrano dunque puntare verso agenti di tipo chimico o fisico, anche se non si escludono cause infettive, come suggerito da uno studio italiano pubblicato su “Pnas”, che dimostrava la presenza di virus Coxsackie B4 nel pancreas di malati di tipo 1. La caccia ai possibili responsabili è a 360 gradi, e proprio per questo gli scienziati cercano un nuovo paradigma. Conclude Pozzilli: “Stiamo creando una rete europea che lavori su ipotesi del tutto inedite. Ma per affrontare tematiche così complesse gli strumenti abituali, per quanto moderni e tecnologici, non sono sufficienti: basta pensare alla complessità degli inquinanti, presenti a decine in ciascuno di noi, o ai dati contraddittori ottenuti finora sui campi magnetici“. Allora le risposte si attendono da questo team interdisciplinare che, con l’aiuto di biofisici, matematici, biologi molecolari e altre figure, ha il compito di realizzare modelli di studio che tengano conto della complessità dei possibili fattori coinvolti e delle loro interazioni con l’organismo, adottando un modello di complessità analogo a quello che si usa per costruire le reti neurali che riproducono il funzionamento del cervello.
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