Le diete ‘estreme’ (vegetariana, vegana paleolitica, chetogenica) fanno bene o è meglio la classica mediterranea? Un position paper Sid

L’alimentazione è una delle pietre miliari nella prevenzione e nel trattamento del diabete mellito 2. Essa ha  come obiettivo non solo il miglioramento del controllo glicemico e degli altri fattori di rischio cardio-metabolici, ma anche la riduzione delle malattie cardiovascolari che sono responsabili del 70 per cento della mortalità totale in questi pazienti. Lo scopo del documento della Sid dedicato alle ‘diete estreme’ è quello di fare il punto della situazione sui regimi alimentari alternativi (diete vegetariane, chetogeniche, paleolitiche) che si discostano, talvolta anche marcatamente, dalla tradizionale ‘dieta mediterranea’. 

E’ di fondamentale importanza fornire alle persone con diabete e agli operatori che di queste si occupano evidenze solide, che permettano di intraprendere stili di vita non soltanto sicuri, ma anche efficaci nel prevenire la comparsa e la progressione della malattia diabetica.

“Le evidenze scientifiche disponibili non consentono di valutare gli effetti a lungo termine delle diete vegetariana, vegana, chetogenica e paleolitica sul diabete tipo 2 e le sue complicanze – sottolinea Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Diabetologia Sid – Viceversa la dieta mediterranea, basata sull’introiti di alimenti ricchi di fibre provenienti da ortaggi, frutta e cereali non raffinati e povera di grassi di origine animale, è stata ampiamente studiata dimostrando i suoi benefici sia sul controllo del diabete sia sul rischio cardiovascolare. Per determinare un calo ponderale sia una dieta a basso contenuto di grassi e calorie, sia una dieta a basso contenuto di carboidrati, sia una dieta mediterranea, naturalmente ricca in fibre vegetali, possono essere efficaci fino a 2 anni. L’aderenza a un modello alimentare mediterraneo, anche in assenza di calo ponderale, riduce l’incidenza del diabete del 52 per cento rispetto a una dieta povera di grassi”.
Negli ultimi anni la dieta vegetariana ha attirato l’attenzione della comunità scientifica perché diversi studi epidemiologici ne suggeriscono potenziali benefici su indice di massa corporea, ipertensione, eventi coronarici, alcuni tipi di cancro e aspettativa di vita. Gli studi condotti nei diabetici dimostrano che questa dieta migliora il compenso glicemico e altre anomalie metaboliche, riducendo il fabbisogno dei farmaci anti-diabete. 

E un altro motivo per prendere in seria considerazione queste diete è il crescente seguito che hanno tra gli italiani. Secondo l’Unione Vegetariana Europea, l’Italia (insieme con la Germania) ha il più alto tasso di vegetarianismo nell’Unione Europea e che il trend è in aumento rispetto al 6.5 per cento nel 2014 e al  5.7 per cento nel 2015, raggiungendo il 7.1 per cento nel  2016.

Dopo un’attenta revisione degli studi gli esperti della Sid concludono che, “nonostante i risultati degli studi finora disponibili siano consistenti nel mostrare gli effetti benefici della dieta vegetariana e vegana nella cura del diabete mellito tipo 2 e sul controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, prima di poter raccomandare queste diete come una valida e sicura alternativa alla dieta convenzionale, sono necessari ulteriori studi d’intervento su campioni più numerosi di pazienti, che testino l’efficacia di queste diete indipendentemente dall’azione sul peso e da altri fattori confondenti e la loro adeguatezza nutrizionale nel lungo termine in varie fasce d’età“.

La dieta paleolitica è la dieta degli uomini primitivi che si nutrivano di quello che riuscivano a raccogliere e a cacciare. In questa dieta la quota proteica è decisamente elevata, anche in assenza dell’apporto proteico dei derivati del latte (che mancano completamente). La quota di carboidrati invece non differisce nella quantità ma nella qualità, non prevedendo il consumo di prodotti provenienti dal grano. Il contenuto di sodio è basso, mentre quello di fibre, acido ascorbico e colesterolo è elevato. 

Una recente metanalisi ha analizzato l’efficacia della dieta paleolitica sui fattori di rischio per le malattie croniche, confrontandola con altri regimi nutrizionali. I soggetti nutriti con la dieta paleolitica rispetto ai controlli presentavano una riduzione della circonferenza vita, dei trigliceridi, della pressione arteriosa e della glicemia a digiuno, fattori che caratterizzano la sindrome metabolica.
La dieta chetogenica è una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati. Dagli anni ’60, la dieta chetogenica ha preso piede nella terapia dell’obesità (con l’introduzione della dieta Atkins) e più di recente è stata proposta come dieta per diabete, policistosi ovarica, acne e alcune forme tumorali. E’ caratterizzata da: un basso contenuto di carboidrati ( < 50 gr/die, pari circa al 5 per cento del fabbisogno calorico giornaliero), un alto contenuto di grassi (superiore al 60 per cento del fabbisogno giornaliero) e da quantità equilibrate di proteine, senza alcuna limitazione dal punto di vista calorico. 
Questo regime alimentare induce una condizione metabolica definita ‘chetosi fisiologica’. Gli effetti positivi: riduce l’appetito, induce perdita di peso, migliora il tono dell’umore. Nei soggetti con diabete: migliora l’insulino-resistenza e i parametri glico-metabolici; può portare a ridurre il dosaggio dei  farmaci anti-diabete.

 

 

 

 

 

da quotidianosanità.it