Le staminali del futuro non sono nè le embrionali nè le adulte: sono quelle “fatte in casa”, staminalizzate
Attenzione al “battage” mediatico sulle potenzialità delle cellule staminali in medicina. “Troppe ricerche sperimentali vengono descritte come se i loro risultati fossero già realtà clinica. E a farne le spese sono malati e famiglie”. A rilanciare l’allarme sui “falsi miracoli” della scienza è Salvatore Smirne dell’università degli Studi di Milano, presidente del convegno ‘Il ruolo del clinico nell’era della terapia genetica e delle cellule staminali. Attualità e prospettive in corso all’università degli Studi del capoluogo lombardo. “La gente deve capire che la ricerca necessita di tempi lunghi – è il monito dell’esperto – Ed i pazienti, purtroppo, devono mettere in conto la possibilità che le applicazioni cliniche delle scoperte di oggi diventeranno prassi quando per loro sarà forse troppo tardi”. Secondo Smirne, “l’unico settore in cui l’impiego delle cellule staminali è gia routine è l’ematologia. Basti pensare che ormai ogni regione del nostro Paese conta almeno un centro in grado di eseguire un trapianto di staminali ematopoietiche da midollo osseo. In Lombardia ne abbiamo sei o sette. Non solo. Il Registro italiano donatori di midollo osseo conta attualmente 341mila iscritti. Dal 1989 sono state fatte 1.509 donazioni (1.016 a favore di malati della penisola e 493 per pazienti stranieri), con un primato in Lombardia (475 donazioni). E il trapianto di staminali da midollo permette di ottenere la guarigione clinica nel 70% dei malati di leucemia acuta, nel 100% delle persone affette da aplasia midollare e nel 90% dei giovani con talassemia o altre patologie ematologiche congenite”. Gli specialisti riuniti a Milano hanno passato in rassegna le esperienze condotte con le staminali in ognuna delle principali discipline mediche. Per quanto riguarda la cura di infarto e scompenso cardiaco, ad esempio, le prime esperienze cliniche di ‘cardiologia rigenerativa’ con staminali miocardiche ed ematopoietiche risalgono a meno di cinque anni fa – hanno spiegato gli esperti. Finora gli studi pilota condotti sono stati una decina, ma i risultati non permettono di trarre informazioni conclusive. Va un po’ meglio per l’ortopedia, in cui l’ingegneria tissutale consente già qualche applicazione clinica nella riparazione di alcuni danni a ossa, cartilagine, muscoli, tendini e legamenti. In oncologia un esempio che fa ben sperare è la terapia messa a punto da Pier Mario Biava dell’ospedale di Sesto San Giovanni (Milano). La somministrazione sottolingua di un ‘succo’ di speciali fattori di differenziazione, ottenuti dalle staminali del pesce tropicale Zebrafish, ha prodotto risposte positive nel 36% di 179 malati terminali di cancro al fegato. “Siamo agli inizi – ha puntualizzato lo specialista – ma la metodica sembra promettente anche contro altri tumori e ha già suscitato l’interesse di studiosi americani e aziende farmaceutiche”. Infine la neurologia. Ne ha parlato Eugenio Parati della Fondazione Irccs Carlo Besta di Milano, che ha in corso trial clinici di fase I in cui la terapia cellulare – “basata sull’impiego di cellule non solo staminali – ha precisato – viene sperimentata contro la Corea di Huntington nell’ambito di un rigido studio europeo, il glioblastoma e l’ictus”. “Le staminali del futuro non sono nè le embrionali nè le adulte. Sono quelle ‘fatte in casa’: cellule ‘staminalizzate”, prelevate da un tessuto, nutrite con particolari cocktail genetici e convinte a tornare “bambine”. A indicarle come ‘la strada del futuro’ è stato Edoardo Boncinelli dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “Ma anche per le staminali ‘fatte in casa’ – ha avvertito lo scienziato – è importante chiarire una cosa: prima che i pazienti possano davvero beneficiare di queste tecniche nella routine clinica passerà molto tempo. Non meno di 15 anni”. Sulle cellule staminali e le loro potenzialità terapeutiche “si sono spese troppe parole e si sono illuse troppe persone. Anche per malattie che, a mio avviso, nemmeno tra 100 anni potranno essere trattate con le staminali”. Tra queste lo specialiste conta anche l’Alzheimer: “Sulle staminali contro questa malattia degenerativa anche in Italia esiste un progetto plurifinanziato ma a me sembra impossibile riuscire a riparare un danno tanto esteso. Più in generale – ha fatto notare l’esperto – l’Italia è l’unico Paese del mondo a commettere un errore: confondere la biologia con la medicina. Perchè scoprire qualcosa non vuol dire assolutamente saper fare. In altre parole, capire il meccanismo di una malattia, non vuol dire necessariamente poterla curare. E, colpi di fortuna a parte, anche i più grossi successi hanno bisogno di decenni prima di passare dal laboratorio all’animale, all’uomo e alla quotidianità clinica. Tutto questo vale soprattutto per la genetica. Settore nel quale – ha ricordato Boncinelli – ai trionfi eccezionali registrati in campo diagnostico non si sono accompagnati analoghi successi in campo clinico. In diagnostica – ha ribadito l’esperto – la genetica ha fatto miracoli: nel 1968 conoscevamo la causa di appena due o tre patologie legate a difetti del Dna, mentre oggi sappiamo l’origine di quasi tutte le malattie genetiche monofattoriali e disponiamo di test diagnostici che possono essere utilizzati in ogni fase della vita (persino sull’embrione a otto cellule). E ora iniziamo anche a chiarire la base ereditaria di alcune malattie monofattoriali. Invece, sul piano applicativo la barca stenta a partire. Pensiamo solo alla terapia genica: sono stati scritti fiumi di inchiostro. Ma – ha concluso Boncinelli – un nuovo gene introdotto in una cellula ha speranza di sopravvivere soltanto se, da questa ‘correzione’, la cellula malata ricava qualche vantaggio”.
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21 novembre 2006
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