L’insonnia è fattore di rischio per ansia, cardiopatie e diabete

Notti in bianco? Se non si tratta di episodi sporadici, meglio approfondire perché chi soffre di insonnia e non cura il disturbo rischia di sviluppare anche altre malattie. La notizia arriva dalla revisione di vari studi scientifici pubblicata oggi sulla versione online della rivistaThe Lancet 1. I ricercatori sono partiti dalla considerazione che l’insonnia è il disturbo del sonno più diffuso, ma nonostante i progressi nella diagnosi e nelle terapie spesso non viene ben identificata e neppure curata.

La revisione scientifica ribadisce proprio la necessità di diagnosticare e trattare il prima possibile questo disturbo per evitare il rischio di ammalarsi in futuro. Quando non è curata, infatti, l’insonnia può favorire l’insorgenza di depressione, diabete, ipertensione e può addirittura causare la morte.

I dati dimostrano che chi soffre di insonnia ha un rischio cinque volte maggiore di sviluppare ansia o depressione. Si raddoppia anche il rischio di insufficienza cardiaca e diabete. La privazione cronica di sonno costituisce un fattore di rischio anche per la comparsa di obesità, mentre le apnee durante il sonno aumentano il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa sistemica, infarto del miocardio e ictus. Uno studio ha inoltre rilevato che chi soffre di insonnia ha un rischio sette volte maggiore di abusare di alcol o droghe rispetto a chi invece dorme sonni tranquilli.

Dunque, è fondamentale fare il possibile per diagnosticare e curare l’insonnia il prima possibile assicurandosi che i pazienti vengano curati con le terapie previste dalle linee guida e non con farmaci off-label che hanno scarsa evidenza della loro efficacia. “Proprio perché c’è un’alta prevalenza e una comorbidità sostanziale dell’insonnia, i medici di base dovrebbero chiedere di routine ai pazienti se hanno problemi a dormire”, affermano Charles Morin dell’Universitè Laval di Quebec City (Canada) e Ruth Benca dell’Università del Wisconsin autori della revisione.

Circa un quarto della popolazione adulta ha problemi con il sonno e si stima che una percentuale tra il 6 e il 10% soffra di vera e propria insonnia. In Italia, stando ai dati dell’Associazione italiana per la medicina del sonno, sono circa 12 milioni le persone che hanno problemi a dormire: insonnia, apnee notturne, sindrome delle gambe senza riposo (RLS), narcolessia.

Chi soffre di insonnia ha difficoltà ad addormentarsi, alterazioni della fase di sonno profondo e accusa anche sintomi diurni come stanchezza, difficoltà di concentrazione e disturbi dell’umore. Quando questi sintomi vengono trascurati, il problema si cronicizza e si verificano episodi ricorrenti di insonnia. Inoltre, una ricerca longitudinale registra che quasi il 70% dei pazienti continua ad avere sintomi anche a distanza di un anno e circa il 35% addirittura nei tre anni successivi. L’insonnia ha anche delle ricadute sociali ed economiche perché provoca scarsa produttività, assenze dal lavoro e costi di assistenza sanitaria elevati.

Ma perché tanti malati di insonnia? Le cure non sono efficaci? I ricercatori hanno concluso che nonostante l’uso diffuso sia di medicinali da banco sia di quelli su prescrizione, il loro uso nel lungo termine non è stato ben studiato e ci sono scarse evidenze scientifiche che dimostrino quale farmaco funzioni meglio per i vari disturbi del sonno. Inoltre, alcuni dei farmaci più comunemente prescritti (come alcuni antidepressivi e antistaminici) non sempre hanno l’indicazione per il trattamento dell’insonnia e ciò evidenzia la necessità di fare ulteriori ricerche che valutino l’efficacia dei singoli farmaci.

Ecco perché il National Institutes of Health degli Stati Uniti ha stabilito che soltanto due trattamenti (la terapia cognitivo-comportamentale e i farmaci ipnotici approvati) si sono dimostrati efficaci nel supporto al trattamento dell’insonnia. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è un trattamento che utilizza metodi psicologici e comportamentali come tecniche di rilassamento, privazione del sonno e principi di igiene del sonno (come dieta, esercizio fisico e giuste condizioni ambientali della camera da letto).

La CBT si è dimostrata davvero efficace nel combattere l’insonnia, non comporta effetti collaterali e offre benefici di lunga durata. Il problema è che c’è una carenza di professionisti in grado di applicare la CBT e quando si trovano sono per lo più professionisti che operano nel privato. “Una soluzione per migliorare l’accesso a questa terapia arriva dalla tecnologia che la rende accessibile attraverso consultazioni telefoniche e anche on line”. Anche in Italia la CBT ha un’alta percentuale di successo: nei centri di medicina del sonno in cui viene eseguita con due mesi di terapia si ottiene il 75-80% di successi con il vantaggio che si mantengono gli effetti nel tempo perché si insegnano ai pazienti le tecniche a cui ricorrere in caso di bisogno.

 

 

da La Repubblica.it Salute