ll controllo del peso corporeo e l’adozione di uno stile di vita più salubre riducono in maniera significativa il rischio di sviluppare un diabete di tipo 2 nelle donne, indipendentemente dalla familiarità.

Premessa e obiettivi: numerosi studi hanno dimostrato che l’obesità, la mancanza di attività fisica e una dieta iperglucidica costituiscono fattori di rischio per lo sviluppo del diabete mellito tipo 2, mentre il fumo lo è poco e il consumo moderato d’alcool appare essere invece protettivo.
Gli studi precedenti però, hanno considerato i fattori di rischio in maniera singola, benché essi siano spesso correlati tra loro.
Scopo di questo studio è esaminare l’impatto contemporaneo di tutti questi fattori sul rischio di sviluppare il diabete e il grado di riduzione del rischio che si ottiene con l’adozione di uno stile di vita complessivamente più salubre.

Metodi: il Nurses’ Healt Study, all’interno del quale è stato effettuato questo lavoro, è uno studio osservazionale iniziato nel 1976 reclutando 121.700 infermiere americane tra i 33 e i 55 anni cui era chiesto di rispondere a un questionario su dieta, stile di vita e altre informazioni riguardanti la salute.
Queste donne erano poi ricontattate ogni 2 anni per verificare eventuali variazioni dei dati raccolti all’inizio. La raccolta dei dati per il lavoro in oggetto iniziò nel 1980: furono escluse le donne con diagnosi pregressa o attuale di diabete, neoplasie e malattie cardiovascolari e quelle con dati di apporto calorico improbabili (meno di 500 o più di 3500 Kcal/die).
In tal modo furono reclutati 84.941 soggetti, suddivisi in varie coorti di rischio (5 per ogni fattore esaminato) in base a BMI, attività fisica, fumo, consumo di alcool, apporto di fibre, grassi e carboidrati nella dieta.

Fu definito come basso rischio:

Un BMI inferiore a 25

Attività fisica di almeno ½ ora al dì (secondo le linee guida NIH 1996)

Non fumo di sigaretta

Un consumo di alcol di più di 5 g/die

Una dieta a basso contenuto di grassi trans e di carico glucidico e ad alto contenuto di fibre vegetali, con un rapporto elevato di grassi insaturi rispetto a quelli saturi.

Il follow-up è durato fino al 1996, considerando come endpoint l’insorgenza di un diabete tipo 2 (secondo i criteri NDDG precedenti al 1996) o la morte.
E’ stato calcolato il rischio relativo dividendo l’incidenza del diabete di tipo 2 nel gruppo a basso rischio per quella negli altri gruppi, utilizzando la regressione di Cox per i fattori tempo-dipendenti.
Tutte le classi di rischio sono state stratificate per età, familiarità per diabete, menopausa, uso o no di terapia sostitutiva con un intervallo di confidenza per ogni categoria considerata del 95%.

Risultati: Durante i 16 anni di followup sono stati rilevati 3.300 nuovi casi di diabete tipo 2. Il fattore di rischio più importante si è dimostrato il BMI: infatti, il rischio relativo rispetto alle donne con BMI <23, è risultato nelle donne con BMI > di 35 di 38.8 e di 20.1 per quelle con BMI tra 30 e 34.9.
Peraltro anche la dieta, l’attività fisica e il consumo di alcol si sono dimostrati fattori di rischio indipendenti. In particolare le donne con BMI > 30 che seguivano una dieta a basso rischio (come sopra definita) avevano un rischio dimezzato (RR 0.49, CI 0.40-0.61).
Simile è risultato l’impatto del consumo di alcol (RR 0.61 per un consumo di più di 10g/die), un po’ minore quello dell’attività fisica (RR 0.74 per un’attività fisica di più di 1h/die) sempre nelle donne con BMI >30.

Poco importante si rivela invece il fumo di tabacco, che esprime un rischio relativo al massimo di 1.34 per la coorte delle fumatrici di più di 15 sigarette die. Interessante è il rilievo che la familiarità non comporta una significativa modificazione del rischio relativo nelle donne già a basso rischio per BMI e attività fisica (RR 0.14 e 0.12 rispettivamente per quelle senza e con familiarità diabetica).
Analogamente non hanno alcuna rilevanza la razza, lo stato menopausale e l’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva.

In conclusione questo studio prospettico dimostra che la combinazione di alcuni stili di vita salubri, (cioè l’adozione di una dieta ricca di fibre e grassi poliinsaturi e povera di grassi saturi e glucidi, lo svolgere regolare attività fisica, l’astensione dal fumo e il consumo di moderate quantità di alcol) è associata ad un rischio di sviluppare un diabete di tipo 2 circa 90% più basso rispetto alle donne che non adottano queste misure.
Ciò suggerisce che la maggior parte dei casi di diabete mellito tipo 2 sia prevenibile con una modificazione del comportamento igienico-dietetico.

Commento: si tratta di un ampio studio prospettico osservazionale nell’ambito del Nurses’ Healt Study che è tuttora in corso per altri obiettivi tra cui quello che dovrebbe darci dati importanti sulla prevenzione cardiovascolare nelle donne in terapia ormonale sostitutiva quando si concluderà nel 2005.
I dati riportati concordano peraltro con 2 recenti studi di intervento, il Finnish Diabetes Prevention Program e l’US Diabetes Prevention Program che mostrano una riduzione significativa dell’incidenza di diabete tipo 2 nei pazienti con ridotta tolleranza ai carboidrati che svolgono regolare attività fisica, modificano la loro dieta e riducono il peso corporeo.
La riduzione del rischio di sviluppare il diabete tipo 2 osservata in questo lavoro è molto simile a quella riscontrata nell’ambito sempre del NHS circa la riduzione del rischio di malattia coronarica (83%).

Tre considerazioni sembrano molto importanti per la Medicina Generale:

– Pochi studi di intervento farmacologico possono vantare una riduzione così significativa del rischio relativo rispetto a una patologia di così grande significato clinico e sociale; le implicazioni anche di tipo economico di questa osservazione appaiono evidenti.

– Dal punto di vista metodologico il limite di questo studio è la scelta della popolazione esaminata (operatrici sanitarie americane) che potrebbe non essere rappresentativa della popolazione generale e italiana in particolare; questo tipo di studio peraltro si presterebbe benissimo ad essere effettuato dai Medici di Medicina Generale, in grado, forse unici, di seguire nel tempo una popolazione ampia e variegata, purché in possesso di un database in grado di gestire e registrare dati senza aggravio ulteriore di tempo e lavoro.

– Se comunque accettiamo per validi i risultati, cosa che appare ragionevole vista l’ampiezza del campione e la significatività statistica dei risultati, emerge ancora di più il ruolo preminente del MMG il cui intervento è dimostrato in molti studi essere il più efficace per modificare lo stile di vita dei pazienti. Un impegno, questo, a lungo termine che meriterebbe essere oggetto di un importanze sforzo formativo e, perché no, anche di incentivo.

 

Hu, Manson, Stampfer, Colditz et al.
Diet, lifestyle, and the risk of type 2 diabetes mellitus in women.
N Engl J Med 2001, vol. 345 (11): 790-797.