Meglio due test che uno per controllare il diabete!
Pazienti e medici, spesso troppo negligenti nel controllo della malattia. Baltimora – Nell’ultima edizione del Journal of American Medical Association il direttore del John Hopkins Diabete Center invita i medici e i pazienti a fare un uso migliore degli strumenti di controllo e autocontrollo per gestire al meglio la malattia e prevenire la maggior parte degli effetti negativi su cuore, reni, nervi e vista. Il dr. Christopher Saudek, un ex-presidente dell’ADA, e principale autore dell’articolo, afferma che “abbiamo strumenti che sono estremamente precisi, ma che non possono funzionare se non sono usati nel modo corretto. Se l’obiettivo è ridurre morbilità e mortalità, dobbiamo controllare meglio i nostri pazienti, e consigliare loro un corretto autocontrollo”. La valutazione di dati raccolti dall’equipe del dr. Saudek durante studi condotti tra il 1976 e il 2005 ha portato alla conclusione che tanto l’autocontrollo della glicemia, quanto la valutazione fatta dal medico dei valori di emoglobina glicosilata (HbA1c) possono aiutare il diabetico a controllare meglio la malattia. Secondo gli studiosi, la combinazione di autocontrollo e valori di HbA1c “funziona”, così come una continua comunicazione tra paziente e diabetologo. L’autocontrollo praticato dal paziente in base al suo tipo di diabete e alle sue condizioni generali, dà un riflesso preciso del livello di glucosio presente nel sangue nell’immediato. Il dr. Saudek consiglia i pazienti di controllare l’HbA1c ogni 3-6 mesi. Se il paziente assume insulina, se la terapia viene modificata o se la glicemia rimane alta, l’autocontrollo dovrebbe essere più frequente. “Il primo passo nella prevenzione delle complicanze associate al diabete è il riconoscimento dei fattori di rischio, compresa una glicemia non controllata. Stabilire la glicemia può essere difficoltoso, ma è si possono trovare modi per affrontare questa difficoltà e in questo modo garantire un efficace controllo del glucosio nel sangue, e di conseguenza una significativa riduzione dell’incidenza e un miglior approccio terapeutico.”
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Fonte: JAMA Source: Johns Hopkins Medical Institutions
21 aprile 2006 |