Mortalità superiore perfino con un buon controllo glicemico
Le persone con diabete di tipo 1 – anche quelle con un buon controllo glicemico – hanno ancora un rischio più che raddoppiato di decesso nell’arco di 8 anni rispetto ai controlli non diabetici di pari età, sesso e area di residenza. Lo evidenzia un nuovo ampio studio osservazionale di autori svedesi pubblicato di recente sul New England Journal of Medicine.
Come previsto, il rischio di mortalità durante gli di 8 anni in media di follow-up è risultato maggiore tanto più elevati erano i valori di emoglobina glicata (HbA1c), ma anche al livello più basso di HbA1c trovato nelle cartelle cliniche dei pazienti – 6,9% o meno, considerato un valore accettabile per un buon controllo glicemico – il rischio di decesso dovuto a qualunque causa è risultato più che raddoppiato e quello di decesso per cause cardiovascolari quasi triplicato nei pazienti diabetici rispetto ai controlli abbinati.
Per l’analisi, gli autori hanno esaminato 33.915 pazienti adulti con diabete di tipo 1 inseriti nel Swedish National Diabetes Registry dopo il 1998. Per ogni paziente, sono stati selezionati a caso tra la popolazione generale cinque controlli (in totale 169.249 persone) di pari età, dello stesso sesso e residenti nella stessa regione. I pazienti e i controlli sono stati seguiti fino al 2011.
Sorprendentemente, il rischio di decesso per una qualsiasi causa e per cause cardiovascolari è risultato fino a tre volte superiore anche tra i pazienti con diabete di tipo 1 che non avevano una nefropatia diabetica, risultato che va contro quello di due studi osservazionali precedenti.
Il primo autore dello studio, Marcus Lind, dell’Università di Goteborg, ha detto in un’intervista che i risultati indicano come i medici dovrebbero “cercare di ridurre il più possibile il rischio cardiovascolare, in particolare nei pazienti sopra i 40 anni, e anche se i valori di emoglobina glicata sono il linea con i target attuali”. Inoltre, ha sottolineato Lind, “probabilmente è importante praticare regolarmente attività fisica, smettere di fumare e trattare altri fattori di rischio“.
Per l’aumento della mortalità complessiva rispetto alla popolazione generale osservato anche tra i pazienti con un buon controllo glicemico ci sono due spiegazioni possibili, ha aggiunto il ricercatore. In primo luogo, i soggetti che hanno ora un buon controllo glicemico potrebbero aver avuto un controllo molto più scadente in passato durante il decorso della malattia. In secondo luogo, “anche se i pazienti hanno raggiunto dei target che si pensava dovessero implicare un basso rischio, si tratta comunque di valori più alti del normale. Ed è possibile che questi valori contribuiscano in modo significativo al rischio di malattie cardiovascolari. Tuttavia, ha sottolineato Lind, non si sa con certezza quale sia la risposta giusta.
Trevor J Orchard, dell’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, ha detto che lo studio “è di ampie dimensioni e fornisce dati importanti”. Riguardo al maggior rischio di decesso osservato anche in presenza di valori di HbA1c relativamente bassi, l’esperto ha fatto notare come il dato di aumento della mortalità nei pazienti con HbA1c inferiore al 7% su una media di 8 anni non sia poi così sorprendente, se si considera che, in media, i pazienti avevano alle spalle 20 anni di diabete non documentato, durante i quali è altamente probabile che abbiano avuto livelli di HbA1c superiori.
I pazienti diabetici inseriti nel registro avevano un valore medio di HbA1c pari a 8,2% ed erano malati in media da 20,4 anni. Nell’arco temporale considerato dallo studio, la mortalità complessiva è stata dell’8% contro 2,9% nei controlli (hazard ratio aggiustato di morte per qualsiasi causa rispetto ai controlli 3,52; IC al 95% 3,06-4,04).
Quasi tutti i decessi in eccesso nei pazienti diabetici sono stati dovuti a cause cardiovascolari o cause legate in modo specifico al diabete; il dato incoraggiante, sottolineano Lind e i colleghi, è che non si è osservato in questa coorte nessun aumento del rischio di decesso dovuto al cancro.
La mortalità per cause cardiovascolari è risultata del 2,7% tra i pazienti diabetici e 0,9% tra i controlli (hazard ratio aggiustato 4,60; IC al 95% 3,47-6,10).
Gli hazard ratio non hanno mostrato differenze significative all’inizio e alla fine del follow-up, il che suggerisce che il rischio non è diminuito con l’andar del tempo.
Nei pazienti con livelli di HbA1c non superiori a 6,9%, l’hazard ratio di decesso per qualsiasi causa è risultato pari a 2,36 e quello di decesso per cause cardiovascolari pari a 2,92, mentre nei pazienti con livelli di HbA1c pari a 9,7% o superiori gli hazard ratio corrispondenti sono risultati pari rispettivamente a 8,51 e 10,46.
Tra i pazienti diabetici con albuminuria normale, l’hazard ratio di decesso per qualsiasi causa è risultato pari a 2,76 e quello di decesso per malattie cardiovascolari pari a 3,64, mentre in quelli con nefropatia cronica in stadio 5 gli hazard ratio corrispondenti sono risultati pari a 28,09 e 38,98, rispettivamente.
I dati ottenuti nei pazienti con normoalbuminuria sono in contrasto sia con quelli dello studio Finnish Diabetic Nephropathy (FinnDiane, pubblicato su Diabetes nel 2009) sia con quelli dello studio Pittsburgh Epidemiology of Diabetes Complications (EDC, uscito su Diabetologia nel 2010), che in entrambi i casi non avevano trovato nessun aumento del rischio di mortalità nelle pazienti con diabete di tipo 1 senza malattie renali.
Secondo Lind, tale differenza potrebbe essere dovuta alla natura dello studio, basato sull’intera popolazione svedese, mentre i due precedenti erano stati fatti su pazienti che partecipati per scelta, con il risultato che queste ultime popolazioni erano forse meno rappresentative della popolazione di pazienti del mondo reale.
Ma Orchard, che è stato l’autore principale dello studio EDC, non si è detto d’accordo con il collega e ha aggiunto che nel lavoro dei colleghi svedesi non è chiaro con quale frequenza sia stata misurata l’albuminuria, ed è quindi possibile che vi sia stata una sottostima della microalbuminuria.
“Ancor più importante, non sembra sia stato preso in considerazione l’uso di ACE-inibitori e dei bloccanti del recettore dell’angiotensina, per cui molti pazienti normoalbuminurici in realtà potrebbero avere avuto una microalbuminuria sottostante, ma presentavano livelli “normali “perché in trattamento” ha sottolineato Orchard.
L’uso di farmaci nei pazienti diabetici del registro svedese è risultato più alto che nei controlli – il 39,7% dei pazienti risultava in trattamento con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone contro il 10,7% appena dei controlli e con statine il 43,1% contro il 9% -, ma gli autori non hanno analizzato le associazioni tra uso di farmaci e mortalità.
Da notare, infine, che nello studio appena uscito si sono registrati anche 912 decessi dovuti a cause legate specificamente al diabete (il 34% delle morti totali nel gruppo dei pazienti diabetici) e i due terzi sono stati classificati come dovuti a complicanze multiple o non specificate.
Tra quelli per i quali erano indicate cause specifiche, sono stati riportati chetoacidosi o ipoglicemia in 132 pazienti (14,5%), complicanze renali in 84 (9,2%) e complicanze vascolari in 82 (9%).
Il coma diabetico è risultato la prima causa di morte per un terzo dei pazienti al di sotto dei 30 anni, mentre ha avuto un’incidenza solo del 3,3% in quelli di età superiore a 40 anni.
Sulla base di questi risultati, Lind ha consigliato, nei pazienti al di sotto dei 40 anni, di non concentrarsi solo sul come evitare le complicanze a lungo termine e le malattie cardiovascolari, perché in questo gruppo di pazienti sono cause comuni di decesso anche le complicanze acute.
M. Lind, et al. Glycemic Control and Excess Mortality in Type 1 Diabetes. N Engl J Med. 2014;371;1972-82; doi: 10.1056/NEJMoa1408214.
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da PHARMASTAR