Nelle varianti dei geni polimorfi la cura e la sconfitta del diabete
Si chiama SLC30A8, è un gene nuovissimo, l’ultimo scoperto tra i tanti coinvolti nello sviluppo del diabete di tipo 2. Con una caratteristica tutta sua, però. Non solo perché fa parte dei cosiddetti ‘geni polimorfi, cioè quelli che hanno la caratteristica di presentarsi in natura con minime differenze che possono però significare molto in termine di rischio di malattia. Ma soprattutto perché produce un ‘trasportatore dello zinco’ che è presente esclusivamente nelle vescicole secretorie delle beta-cellule pancreatiche, le cellule che producono l’insulina. Siamo cioè nel cuore del problema del diabete, una malattia che colpisce 3 milioni di italiani, più quasi due milioni che non lo sanno ancora, e 170 nel mondo, che diventeranno 350 in vent’anni se non si prenderanno provvedimenti. Si tratta di una scoperta importantissima perché una volta individuato chi ha questo difetto genetico sarà probabilmente possibile intervenire per prevenire la malattia. Come? Forse con integrazioni ben calibrate di zinco nella dieta o, più probabilmente, con farmaci che possano agire in modo mirato su questo trasportatore. Certo non accadrà domani, ma lo studio di Philippe Froguel, Professore di Genetica all’Istituto Pasteur di Lille e all’Imperial College di Londra, pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista Nature, apre nuove prospettive nella battaglia contro il diabete. Il lavoro è stato illustrato durante il congresso “Workshop on Diabetes Mellitus and Related Conditions – Novel Therapies: Scientific Backgrounds and Clinical Perspectives” organizzato e presieduto a Mantova dal prof. Enzo Bonora, ordinario di Endocrinologia dell’Università di Verona, un appuntamento triennale divenuto una delle principali occasioni di incontro e confronto sul diabete a livello internazionale. Vita sedentaria e abitudini alimentari scorrette, dunque, non sono le sole cause del diabete di tipo 2. I geni hanno un ruolo fondamentale. In chi è portatore di geni predisponenti, infatti, i fattori di rischio ambientali agiscono in maniera ancora più deleteria, favorendo la cascata di eventi che porta alla malattia. “Negli ultimi 10-15 anni – ha evidenziato il prof. Bonora – sono stati identificati alcuni polimorfismi genici che hanno la caratteristica di aumentare il rischio di diabete di tipo 2. Fra questi, molto promettenti sono le recentissime scoperte dell’équipe del prof. Froguel e quelle pubblicate pochi giorni fa su Science a firma di gruppi finlandesi, inglesi e americani. Il rischio di diabete conferito dagli ultimi polimorfismi genici identificati è maggiore di quello conferito dai polimorfismi identificati in precedenza e quindi è stato fatto un significativo passo avanti nella comprensione della combinazione di geni che predispongono e dei meccanismi molecolari alterati che determinano la malattia e, quindi, nella cura del diabete. Ad ogni gene alterato, infatti, corrisponde in genere una funzione biologica alterata e questa può diventare il potenziale bersaglio di un farmaco”. È sempre più evidente che il diabete tipo 2, cioè la varietà che insorge generalmente dopo i 40 anni, ha una forte base genetica. “Gli studi che stiamo conducendo – ha spiegato il prof. Froguel – hanno l’obiettivo di identificare tutti i geni che predispongono alla malattia. Ogni volta che ne individuiamo uno, è come se avanzassimo di un gradino verso la comprensione della sua origine. Lo studio su Nature in particolare riguarda una nuova variante polimorfa. Si tratta del gene di un trasportatore dello zinco denominato SLC30A8 che è espresso esclusivamente nelle vescicole secretorie delle beta-cellule pancreatiche. Nello stesso studio abbiamo confermato l’importanza del gene TCF7L2 e identificato altre varianti geniche che sono associate al diabete. Si tratta dei geni HHEX e EXT2 che controllano la sintesi di proteine che sono coinvolte nello sviluppo e nella funzione delle beta-cellule”. Le scoperte di Froguel sono fondamentali per le premesse che creano. Quello che i ricercatori stanno evidenziando, man mano che proseguono gli studi, è che nella predisposizione al diabete non è implicato solamente un gene polimorfo, ma un insieme di polimorfismi. Un cocktail genetico predisponente, insomma, che spesso è diverso da individuo a individuo. Una volta individuato chi è portatore di questi difetti, sarà possibile intervenire precocemente per evitare che si sviluppi la malattia. Ad esempio, se il problema è nel trasporto dello zinco, si potrà provare con una supplementazione di questo minerale con gli alimenti. Oppure, si potrà sviluppare un farmaco in grado di agire sul trasportatore dello zinco nelle vescicole delle beta-cellule pancreatiche. Senza dimenticare che, una volta individuato il soggetto geneticamente predisposto, si potrà cercare di ridurne i fattori di rischio ambientali, ad esempio correggendo la dieta e incrementando l’attività fisica. Che cosa ci riserva quindi il futuro? “Sicuramente – ha concluso il prof. Froguel – una prevenzione focalizzata su chi ha il più elevato rischio di malattia, perché gli esami genetici hanno rilevato la presenza di un insieme di geni polimorfi altamente predisponenti. Difficile stabilire dei tempi, ma grazie alle nuove tecnologie si stanno facendo passi da gigante nelle conoscenze. Per effettuare i nostri studi utilizziamo la tecnica del genome-wide scanning, che è estremamente sofisticata e permette in tempi rapidi e con metodica robotizzata l’analisi di ampie porzioni del genoma e l’esame simultaneo di centinaia di migliaia di nucleotidi, i mattoni del DNA dove possono trovarsi i polimorfismi.”
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10 maggio 2007
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