Obesità, quali progressi nel trattamento negli ultimi 20 anni e cosa deve ancora migliorare
Due decenni fa la cura dell’obesità basata sull’evidenza era nelle sue fasi iniziali. Un passaggio importante è avvenuto nel 1994 con la scoperta della leptina, un ormone che regola l’accumulo di grasso e che è stato collegato allo sviluppo della condizione. A quel tempo l’obesità non era universalmente riconosciuta come una malattia e l’assistenza basata sull’evidenza era estremamente limitata.
«Avevamo poco da offrire ai pazienti oltre alla consulenza» ha detto Scott Kahan, direttore del National Center for Weight and Wellness e membro della facoltà della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. «Anche la consulenza aveva dei limiti, dal momento che non disponevamo delle odierne evidenze scientifiche per supportare le strategie che venivano utilizzate all’epoca».
Oggi la prospettiva sull’obesità è cambiata radicalmente. Viene ampiamente considerata una malattia e ci sono diverse linee guida e raccomandazioni per la sua gestione. Due nuovi farmaci per il trattamento a lungo termine dell’obesità di recente approvazione, i GLP-1 agonisti semaglutide (Fda) e liraglutide (Fda e Ema), possono vantare un’efficacia superiore rispetto ai predecessori. Anche le evidenze a supporto della chirurgia bariatrica sono molto più forti e questa procedura viene oggi considerata come un’opzione di trattamento più convenzionale.
Trattare l’obesità come una malattia
Nonostante tutti questi progressi, la prevalenza della malattia continua ad aumentare. «L’epidemia di obesità non è affatto diminuita» ha affermato Caroline Apovian, co-direttore del Center for Weight Management nella divisione di endocrinologia, diabete e ipertensione al Brigham and Women’s Hospital. «Farmaci, dieta ed esercizio fisico, programmi di medicina dell’obesità e chirurgia bariatrica non sono stati adottati in misura tale da arrestarla».
Nella comunità sanitaria pensare all’obesità come a una scelta di vita piuttosto che a una malattia era più comune 20 anni fa rispetto ad oggi. «C’è sempre stato un pregiudizio che circonda le persone obese e, anche se negli ultimi anni gli atteggiamenti sono migliorati, ancora oggi permane uno stigma tanto nella comunità sanitaria quanto a livello politico e nel pubblico in generale» ha fatto presente Timothy Garvey, professore di medicina presso l’Università dell’Alabama (UAB) a Birmingham e direttore dell’UAB Diabetes Research Center. «Colpisce anche i pazienti, che interiorizzano la malattia e ne sono stigmatizzati. Pensano che sia colpa loro, che siano da biasimare e che dovrebbero gestire da soli senza l’aiuto del medici. Così minano il loro benessere e non accedono alle cure».
Alcuni degli atteggiamenti nei confronti dell’obesità sono cambiati nell’ultimo decennio. Negli Usa gran parte di questo cambiamento è avvenuto nel 2013, quando l’American Medical Association (AMA) in una pubblicazione ha riconosciuto l’obesità come uno stato patologico con molteplici aspetti fisiopatologici, che richiedono una serie di interventi per far progredire sia la sua prevenzione che il suo trattamento.
«Il fatto che l’AMA abbia proclamato l’obesità come una malattia ha rotto il muro in modo che potessimo iniziare a trattarla invece di pensare solo alla dieta e all’esercizio fisico» ha confermato Apovian. «Sapevamo da tempo che l’obesità era una malattia, ma questo riconoscimento significava che anche il resto della comunità medica e le parti interessate potevano fare lo stesso».
Approvazione dei GLP-1 agonisti per il cambio di passo
Vent’anni fa erano poche le opzioni terapeutiche da offrire ai pazienti quando la consulenza si rivelava insufficiente. Orlistat, approvato dalla Fda nel 1999, è stato l’unico farmaco autorizzato per la gestione a lungo termine dell’obesità. «Fino ad allora tutte le terapie approvate erano per il solo uso a breve termine e i requisiti richiesti per l’approvazione erano molto meno stringenti rispetto a oggi» ha detto Kahan.
In seguito sono stati approvati per l’uso a lungo termine anche altri farmaci, come fentermina/topiramato e naltrexone/bupropione, che avevano tuttavia un’efficacia limitata, con una perdita di peso nel lungo periodo inferiore al 10%.
La recente approvazione di liraglutide (disponibile anche in Italia per questa indicazione) e semaglutide (non ancora disponibile in Italia per questa indicazione) ha cambiato le prospettive sulla farmacoterapia per l’obesità.
L’efficacia e la sicurezza di liraglutide per la gestione del peso corporeo sono state valutate in 4 studi di fase III, randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo, nei quali sono stati arruolati complessivamente 5.358 pazienti. I risultati del programma SCALE hanno evidenziato, in maniera statisticamente significativa, come in 56 settimane il 92% delle persone obese o sovrappeso curate con liraglutide abbia perso peso, rispetto al 65% di quelli che avevano assunto un placebo. Un paziente su 3 aveva perso oltre il 10% del proprio peso rispetto al 10% del gruppo placebo.
Anche semaglutide ha prodotto una perdita di peso superiore ai farmaci precedenti, con la metà dei pazienti in trattamento che ha perso almeno il 15% del proprio peso corporeo in 68 settimane. «È il primo medicinale che ha consentito una perdita di peso compresa tra il 10% e il 20% nella maggior parte dei pazienti» ha confermato Garvey. «Ci consente di gestire attivamente la perdita di peso in un intervallo in cui possiamo migliorare la salute dei pazienti prevenendo e curando le complicanze».
Per molti esperti i nuovi GLP-1 agonisti hanno rappresentato una svolta, ma non tutti li considerano una soluzione al problema. «Non sono completamente d’accordo nel definirli un punto di svolta» ha chiarito Kahan. «Sono ottimi farmaci ma sono solo dei passi avanti, non qualcosa che porta a una perdita di peso miracolosa. Il vero cambio di passo avverrà quando le politiche sanitarie miglioreranno per tutti l’accesso ai trattamenti per l’obesità».
Per quanto riguarda la chirurgia bariatrica, rispetto a 20 anni fa è diventata una procedura decisamente più comune. Nel 2013, l’American Association of Clinical Endocrinology, l’Obesity Society e l’American Society for Metabolic and Bariatric Surgery hanno pubblicato linee guida pratiche aggiornate che raccomandavano questo intervento per tutti i pazienti con un BMI di almeno 40 o con un BMI di 35 e almeno una comorbidità, aumentando il numero di pazienti eleggibili.
Fondamentale migliorare l’accesso alle cure
Oggi sono disponibili farmaci, procedure e trattamenti per l’obesità basati sull’evidenza e più efficaci rispetto al passato, ma gli operatori sanitari stanno ancora lottando per ottenere che le cure siamo disoponibili per un maggior numero di persone.
«Anche la mancanza di operatori sanitari formati nel trattamento dell’obesità costituisce un problema. Non riceviamo molta formazione per gestirla in quanto malattia nelle nostre scuole di medicina o in altre strutture per la formazione degli operatori sanitari» ha affermato Garvey. «La situazione sta lentamente cambiando, ma è necessario che le persone si rendano conto che questa è una malattia e che stiamo pagando per le sue complicanze».
«Ci vorranno anni per creare un cambio di paradigma perché bisogna ribaltare il modo in cui la medicina viene praticata negli Stati Uniti» ha concluso Apovian. «I medici si occupano di ipertensione, diabete di tipo 2, malattie cardiache, apnea notturna, artrite, tutte condizioni esacerbate o causate dall’obesità. Capovolgere il sistema di cura significherebbe trattare prima l’obesità, e questo non sta ancora accadendo».
da PHARMASTAR