Per cure e assistenza si spende dal 10 al 15% dell’intera spesa sanitaria
l diabete non si vede e non si sente, almeno non prima di rivelarsi attraverso le sue complicanze. Ma intanto sono 250 milioni le persone nel mondo e l’8,6% della popolazione europea affette da questa condizione, che non risparmia neppure i bambini. Solo nel nostro Paese sono più di 200 le persone che ogni giorno si ammalano di diabete. Questa presenza ‘silenziosa’ ma ‘minacciosa, rappresenta la prima causa di ictus e di infarto oltre a causare complicanze a livello di occhio, rene e nervi e “assorbe il 10-15% dell’intero budget sanitario – ricorda la dottoressa Paola Pisanti, Presidente della Commissione Nazionale Diabete del Ministero della Salute. l’Italia – ricorda sempre Pisanti – detiene però il ‘primato’ per essersi dotata per prima, nel mondo, di una legge ‘visionaria’ e ancora molto attuale come la 115/87 interamente dedicata al diabete. A questa, qualche mese, si è aggiunto anche il ‘Piano Nazionale Diabete’, in ottemperanza a quanto richiesto dalla Comunità Europea”.
Il ‘Piano Nazionale Diabete’ tricolore è stato formalmente approvato all’unanimità in Conferenza Stato-Regioni alla fine dello scorso anno ma, finora, è stato di fatto recepito solo da 9 Regioni, peraltro con le differenze e le disparità che caratterizzano la nostra sanità regionalizzata. Tanto per fare un esempio, la regione Marche sta di fatto smantellando la rete dei centri diabetologici, trasferendo tutta l’assistenza di questa condizione sulla medicina generale. “E’ paradossale – commenta il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana d Diabetologia – che mentre da un lato, finalmente si sia giunti a un Piano Nazionale del Diabete, dall’altro si insista su una regionalizzazione che tuttora fonte di disparità di trattamento tra cittadini italiani. Questo processo è contrario ai principi enunciati dal Piano che tra il suo decalogo elenca proprio la riduzione delle disparità e la valorizzazione della rete specialistica che così fortemente ha caratterizzato la diabetologia italiana. Se è ragionevole che i centri ‘glicemologici’ non abbiano più ragione di esistere, sarebbe altrettanto ragionevole operare una razionalizzazione della specialistica diabetologica potenziando in modo adeguato i centri di secondo e terzo livello”.
Ma al di fuori dell’Italia, qual è la migliore assistenza per un persona con diabete? “In Gran Bretagna – afferma deciso Simon Griffin, professore di Medicina Generale all’Università di Cambridge – è quella basata sui medici di famiglia ma appoggiata a centri specialistici di riferimento. I migliori risultati infatti sono stati ottenuti laddove esiste una collaborazione tra medici di famiglia consentendo il passaggio del paziente ad un’assistenza di secondo livello, cioè a quella specialistica, in qualsiasi momento in caso di necessità”. Il processo passa anche attraverso il monitoraggio di una serie di parametri in tempo reale e questo grazie al fatto che i medici di medicina generale (MMG) immettono i dati relativi ai loro pazienti nei loro computer dotato di un software, grazie al quale possono essere estratti in un attimo a livello centralizzato. La partecipazione dei medici di famiglia a questo progetto è stato scuramente favorito dall’incentivo economico che deriva dall’immissione dei dati nel sistema. Oggi i medici di famiglia lavorano molto meglio di quanto prevedesse il Governo, ma questo sistema è risultato alla fine molto più costoso delle aspettative”.
Ma potrebbe un sistema come questo funzionare in Italia? Nel nostro Paese sono ormai numerosi gli esempi di gestione integrata tra medicina generale e medicina specialistica. Un esempio è quello portato dal vicepresidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) Ovidio Brignoli. “Utilizzando un sistema di monitoraggio elettronico simile a quello illustrato da Griffin – elucida Brignoli – è stato possibile allargare l’assistenza a un numero maggiore di persone con diabete, ma ancor più è stato possibile coinvolgere sempre più medici di famiglia nel processo di gestione e ottenere tangibili miglioramenti, tra l’altro senza dovere ricorrere a incentivi economici. Questa azione rappresenta comunque il risultato della interazione e collaborazione tra medico di medicina generale e diabetologo. Con lo specialista condividiamo le linee d’azione e lo specialista partecipa ai nostri audit e processi di verifica”. “L’integrazione è parte essenziale del Piano Nazionale del Diabete – ricorda il professor Del Prato – che nasce nella logica di porre al centro dell’azione sanitaria la persona con diabete cui corrisponde, a seconda delle necessità e complessità clinica, la disponibilità di specifiche competenze. In quest’ottica è necessario rafforzare la figura specialistica del diabetologo come referente culturale di un processo di condivisione e verifica continua. Il diabetologo non è un esperto di “glicemia”. Piuttosto è il gestore all’interno di un processo complesso e coordinato della complessità ed evolutività della patologia diabetica. Il diabete costa molto, troppo. Ma questo costo è dovuto per oltre a metà ai ricoveri ospedalieri per le complicanze della malattia. Solo un’accurata integrazione delle cure potrà garantire la necessaria assistenza a un numero così ampio di persone con diabete, assistenza fondamentale per ridurre il rischio di complicanze.