Per ogni farmaco un rischio specifico nel medio termine
Secondo un ampio studio osservazionale inglese, tra i differenti farmaci – somministrati da soli o in combinazione – per il diabete di tipo 2 ci sono differenze “clinicamente importanti” per quanto riguarda il rischio di malattie cardiovascolari (CVD), insufficienza cardiaca (HF) e in tutte le cause di mortalità. “Un certo numero di molecole ipoglicemizzanti sono state associate a un aumentato rischio di insufficienza cardiaca inaspettata, sia durante gli studi clinici sia durante la sorveglianza post marketing, aumentando le preoccupazioni sui rischi generali e sui benefici per i pazienti – spiega Julia Hippisley-Cox dell’Università di Nottingham, autrice dello studio – È necessario quantificare i rischi di outcome clinici in grandi popolazioni rappresentative di pazienti con diabete di tipo 2 cui sono stati prescritti questi farmaci per periodi di tempo più lunghi”.
Lo studio
Hippisley-Cox e Carol Coupland, anche lei a Nottingham, hanno valutato i rischi di tre hard endpoint clinici con diversi farmaci per il diabete, in particolare con i più recenti gliptine e glitazoni, in una popolazione rappresentativa di oltre 469 mila adulti. Durante il periodo di studio di otto anni, il 58,4% dei pazienti ha ricevuto prescrizioni per uno o più farmaci per il diabete: il 4,5% per i glitazoni, 6,9% per le gliptine, 54,5% per la metformina, il 28,7% per le sulfaniluree, il 4,2% per l’insulina e il 2,6% per altri farmaci antidiabetici orali.
I risultati
Rispetto a chi non ne ha fatto uso, le gliptine sono state associate con una diminuzione del 18% del rischio di morte per qualsiasi causa e del 14% per il rischio di HF, mentre non è stata osservata nessuna variazione significativa nel rischio di CVD. I glitazoni sono stati associati con una riduzione del 23% del rischio di mortalità generale, del 26% di quello di HF e del 25% per la malattia cardiovascolare. “Sebbene la nostra domanda di ricerca si concentri sulle associazioni tra gliptine e glitazoni e gli eventi clinici avversi, per il confronto abbiamo i risultati anche per gli altri farmaci per il diabete,” si legge nel report pubblicato sul BMJ.
In generale, il trattamento con metformina da sola è stato associato a minori rischi di mortalità per tutte le cause, HF, e CVD rispetto a chi non ne ha fatto uso. “Questo è importante perché la metformina è generalmente raccomandata come farmaco di prima linea contro il diabete ed è comunemente usato in combinazione con altri medicinali”, ricorda il team che ha condotto la ricerca.
“Le sulfoniluree sono state associate a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause, sia nell’analisi principale sia nelle sensitivity analisis limitate ai nuovi utilizzatori di sulfoniluree”, riportano i ricercatori. La monoterapia con sulfoniluree è anche correlata a un aumentato rischio di malattia cardiovascolare e come terapia tripla con metformina e insulina è stata associata ad un maggiore rischio di insufficienza cardiaca rispetto alla sola metformina. “Questi risultati sfavorevoli sono in linea con alcuni studi che collegano le sulfaniluree ad un aumento degli eventi avversi cardiovascolari. Tuttavia, non tutti i lavori hanno fornito questi risultati. Raccomandiamo ulteriori ricerche sulla sicurezza delle sulfoniluree rispetto ad altri tipi di farmaci per il diabete”, concludono gli esperti.
Conferme da un altro studio
Uno studio correlato – uscito su BMJ il 13 luglio scorso – suggerisce che il rischio di ipoglicemia è significativamente maggiore nei pazienti con grave compromissione renale che usano sulfoniluree da sole rispetto all’utilizzo della sola metformina. I risultati di questo ampio studio osservazionale olandese “forniscono la prova che l’uso di alte dosi di sulfoniluree deve essere considerato con cautela nei pazienti con insufficienza renale”, spiegano Frank de Vries e i colleghi del Maastricht University Medical Centre (Paesi Bassi). “È interessante notare – aggiungono – che non abbiamo trovato prove della superiorità della gliclazide rispetto ad altre sulfoniluree nel ridurre il rischio di ipoglicemia rispetto a chi usa la metformina. Dal momento che le attuali linee guida suggeriscono la gliclazide come prima scelta in molti Paesi, i risultati di questo studio forniscono spunti per ulteriori indagini poiché potrebbero avere un impatto sostanziale sull’attuale processo decisionale clinico nella cura del diabete”.
De Vries ha aggiunto che “l’ipoglicemia è un effetto collaterale noto delle sulfaniluree. Si tratta di un outcome importante, perché nei casi più gravi può portare a ricoveri o anche al coma. Molti anziani diabetici di tipo 2 hanno una ridotta funzione renale. Pertanto, l’ipotesi era che le sulfaniluree escrete per via renale potessero comportare un rischio più elevato di ipoglicemia rispetto a quelle che non lo erano. Tuttavia, questo non è ciò che abbiamo trovato: la maggior parte dei farmaci sulfanilurei aveva rischi simili di ipoglicemia in pazienti con insufficienza renale grave”.
Per de Vries “è importante sottolineare che non vi è alcuna necessità per i pazienti che assumono gliclazide di chiedere un altro farmaco al proprio medico. La gliclazide è un buon farmaco per il trattamento del diabete di tipo 2. Tuttavia, le linee guida cliniche che attualmente raccomandano il gliclazide come farmaco sulfonilureo da preferire in pazienti con grave insufficienza renale potrebbero riconsiderare le loro indicazioni. I medici che desiderano prescrivere gliclazide a questo tipo di pazienti devono sempre tener conto dell’indicazione riportata sull’etichetta del farmaco, che può variare da Paese a Paese”.
Fonte: British Medical Journal 2016
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)