Politiche vaccinali in Italia: presente e futuro. Lettura magistrale del Professor Alberto G. Ugazio tenuta al Congresso della Società Italiana di Pediatria a Padova
”Lo scenario epidemiologico delle malattie prevenibili attraverso la vaccinazione è profondamente cambiato nel coso di qualche decennio in Italia. Abbiamo fortunatamente dimenticato le tragiche caratteristiche cliniche di alcune gravi malattie come la poliomielite e la difterite, e ci avviamo a prevenire un numero sempre più grande di decessi, ricoveri ospedalieri e risorse assistenziali per altre malattie prevenibili con la vaccinazione – ha affermato il prof. Alberto Giovanni Ugazio Direttore Dipartimento Medicina PediatricaIRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, nel corso del recente Congresso della Società Italiana di Pediatria tenutosi a Padova. – Buona parte del successo che abbiamo finora ottenuto si deve all’istituzione dell’obbligo vaccinale che ha permesso di considerare la vaccinazione un diritto per la popolazione. Specie negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, la necessità di garantire la salute ai cittadini ha trovato nell’obbligo uno strumento potente.
In assenza di questa politica probabilmente avremmo ancora a che fare con periodiche epidemie di malattie fatali o invalidanti. I risultati della strategia vaccinale italiana sono chiaramente indicati dalle coperture vaccinali per i vaccini che ancora oggi si ritengono obbligatori e che, data la disponibilità di vaccini combinati, trainano altre vaccinazioni che possono essere somministrate con questi prodotti.
Le coperture vaccinali misurate dallo studio ICONA per la popolazione italiana nel 2008 indicano valori nell’ordine del 95% per tutte le componenti incluse nei vacciniesavalenti. Grandi passi avanti sono stati fatti anche per la copertura vaccinale di morbillo, parotite e rosolia i cui valori,ancora al di sotto del 95%, sono però intorno al 90%. A questi successi consolidati non corrisponde però una buona copertura per le vaccinazioni che sono semplicemente raccomandate e che sono state introdotte più recentemente. Meno del 60% dei bambini italiani sono vaccinati contro lo pneumococco, meno del 40% per il meningococco C, meno del 20% per la varicella, ed un misero 2% per l’influenza. La situazione è ancora peggiore se osserviamo le coperture vaccinali per i bambini a rischio.
Lo studio ICONA 2008 testimonia ancora gravi lacune che impediscono di superare nella migliore delle ipotesi coperture vaccinali del 50% come avviene nel caso del vaccino contro lo pneumococco. La regionalizzazione della salute, inoltre, ha permesso un’autonomia regionale in tema di vaccinazioni che ci presenta un panorama del tutto variegato con alcune aree virtuose ed altre dove l’offerta vaccinale per i vaccini raccomandati è decisamente scadente. Già nel Piano Nazionale Vaccini 2005-2007 era stato previsto un percorso per il superamento del’obbligo vaccinale. Questo baluardo della sanità pubblica, che ha permesso di raggiungere tanti successi, deve probabilmente lasciare il posto ad una strategia più articolata basata sulla comunicazione e sull’informazione. Il principio della prudenza nel Piano Vaccini stabiliva che le Regioni con una strategia vaccinale efficiente potevano sperimentare modelli di abolizione dell’obbligo vaccinale.
Il Veneto ha percorso questa strada suscitando commenti e sentimenti opposti: una grande vittoria per chi sostiene la necessità di insistere sulla comunicazione, un rischio per le persone che temono un crollo della copertura vaccinale. Ma è bene analizzare le componenti critiche di un sistema nel quale al posto dell’obbligo vige la comunicazione con le famiglie. Abbiamo ormai dati che indicano chiaramente come gli oppositori delle vaccinazioni per ideologia sono una sparuta minoranza.
Sono invece numerose le famiglie colpite da quella che gli americani chiamano immunization hesitancy. Si tratta di genitori incerti, che non hanno ricevuto informazioni sufficienti per prendere una decisione consapevole. La loro incertezza può essere favorita dall’oscillazione dei media nel trattare notizie che riguardano la salute pur di attirare l’attenzione dei lettori e degli spettatori. Una componente fondamentale per affrontare questo aspetto è rappresentata dalla comunicazione ed in particolare dalla comunicazione del rischio associato alla vaccinazione e alle malattie da essa prevenute.
La figura professionale più adatta per adempiere a questo compito è il pediatra. Tutto ciò richiede tempo che a tutt’oggi il pediatra, non solo italiano, non riesce a dedicare a questo argomento durante il contatto con le famiglie. La difficoltà da parte delle famiglie nel seguire una raccomandazione vaccinale è ben evidenziata dalla situazione venutasi recentemente a creare per la vaccinazione contro il virus influenzale A (H1N1).
La pandemia influenzale ha posto importanti problemi di comunicazione nelle situazioni emergenti. L’informazione ha disorientato spesso le famiglie e nonostante i messaggi serrati del Ministero della Salute, pochi sembrano i genitori che vaccinerebbero i propri figli una volta il vaccino fosse disponibile per la popolazione generale. Una recente indagine effettuata in un gruppo di mamme in una comunità virtuale sul web, documenta addirittura che la percentuale di genitori che farebbero vaccinare i propri figli sarebbe intorno al 10%.
Le cose non vanno meglio se guardiamo ai risultati finora ottenuti per le categorie con priorità assoluta nella strategia di vaccinazione pandemica. A fronte dei circa 4 milioni di dosi distribuite per la vaccinazione di personale sanitario, donne in gravidanza, malati cronici, minori in comunità e personale dei servizi, solo una proporzione pari a poco più del 5% è stata ad oggi effettivamente vaccinata. Nei documenti preparati dal Ministero della Salute, ed in particolare nella Circolare Ministeriale del 5 ottobre 2009, lo stesso Ministero indica chiaramente come il raggiungimento capillare della popolazione potrà essere ottenuto dalle Regioni con la collaborazione dei pediatri di famiglia e dei medici di medicina generale. Ma finora queste figure professionali sono state scarsamente coinvolte.
La storia delle vaccinazioni nel nostro Paese, le recenti emergenze e l’inequità nell’offerta vaccinale mettono in evidenza la necessità di trovare soluzioni più efficienti per garantire maggiormente la salute della popolazione pediatrica. La pediatria italiana può fare la differenza. E’ necessario che i pediatri diventino protagonisti delle strategie vaccinali intervenendo nella formulazione delle raccomandazioni vaccinali, impegnandosi nella comunicazione con le famiglie, ritornando a vaccinare essi stessi e intervenendo in ogni passo del percorso vaccinale. In altre parole la pediatria italiana dovrebbe riprendere il governo delle vaccinazioni integrando le proprie azioni con quelle della sanità pubblica per vaccinare meglio.