Presidi diabetici. I diabetologi contrari alla distribuzione “per conto” nelle farmacie piemontesi

Gentile direttore,
in un momento di forti tensioni, che vede la classe medica in seria contrapposizione con le Istituzioni, tra chiamate alla mobilitazione generale da parte della Federazione degli ordini dei medici, “a difesa di un sistema sanitario che risponda ai bisogni di salute dei cittadini”, e le proteste corali contro la bozza di decreto sull’appropriatezza prescrittiva del ministro Lorenzin, rischia di passare in secondo piano un fatto, secondo noi diabetologi, estremamente grave. Mi riferisco a quello che sta accadendo in Piemonte e rischia di estendersi al resto d’Italia. 

In particolare, alle decisioni assunte con delibera della giunta regionale il 7 settembre scorso, circa la “Sperimentazione in accordo tra l’Amministrazione regionale e le Associazioni FEDERFARMA-Piemonte e ASSOFARM Piemonte della modalità in distribuzione per conto (DPC) dei presidi di assistenza integrativa per diabetici e per incontinenza”, e al progetto “La farmacia dei servizi per il controllo delle patologie croniche: sperimentazione e trasferimento di un modello di intervento di prevenzione sul diabete tipo 2” attuato in via sperimentale nella Regione, giudicato, in questi stessi giorni, meritevole di riconoscimento e finanziamento da parte del Ministero della Salute per dare attuazione al programma del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie e rivolto a esportare questa esperienza in altre regioni.
Entrambi questi fatti sono destinati a minare alla base uno dei fondamenti di un sistema diabetologico nazionale che molti Paesi ci invidiano, ponendo a repentaglio la salute e la qualità di vita delle persone con diabete oltre che, nel medio termine, rappresentando un rischio di aggravamento della sostenibilità del nostro servizio sanitario nazionale: esattamente l’opposto di ciò cui gli animatori di queste iniziative puntano e credono, o sperano, di ottenere.

Il buono stato di “salute diabetologica” del nostro Paese, in uno scenario di vera e propria pandemia, con centinaia di milioni di cittadini del mondo colpiti da questa malattia, è certificato dai dati clinici che ci dicono come il livello di controllo glicemico della popolazione diabetica italiana sia migliore di quello di quasi tutti i Paesi con i quali ci confrontiamo. Uno studio della London School of Economics di pochi anni addietro ci dice come in Italia i costi per curare il diabete incidano per il 5,61% sulla spesa sanitaria e per lo 0,29% sul Pil, valori di molto inferiori rispetto a Germania o Gran Bretagna, che spendono rispettivamente l’1% e lo 0,67% del Pil, più del triplo e del doppio di noi. Questo grazie al “sistema Italia”, caratterizzato dalla diffusa presenza sul territorio nazionale di servizi specialistici di diabetologia e centri di diabetologia pediatrica, che si sono nel tempo organizzati con strutture di team multiprofessionale e che assicurano omogeneità di comportamenti e obiettivi terapeutici. Il tutto sostenuto da una cultura specialistica clinica e scientifica apprezzata a livello internazionale, dove molti nostri colleghi sono chiamati a dirigere importanti centri di ricerca e cura in giro per il mondo.

Bene, ciò che è in atto nel nostro Paese, in contrasto con il dettato della legge 115/87 che tutela le persone con diabete e dello stesso Piano nazionale per la malattia diabetica licenziato a febbraio 2013, primo e unico piano specificatamente dedicato ad affrontare i problemi di una singola patologia, e che il caso Piemonte porta prepotentemente alla ribalta, è un vero e proprio, direi incosciente e suicida, esercizio di autolesionismo.

Il fondamento della cura di una malattia cronica come il diabete, momento distintivo di ogni Chronic Care Model, è il “contratto” che si stipula tra malato, che si prende cura di sé, e operatore sanitario – in realtà un team di operatori in una malattia dalle molte sfaccettature e anime – che lo guida e accompagna. Nello specifico del diabete, fondamento di questa cura è l’autocontrollo della glicemia, che rappresenta un vero e proprio atto terapeutico, che garantisce l’efficacia della cura stessa. L’obiettivo dell’autocontrollo è, infatti, educare il paziente a prevenire e gestire la variabilità glicemica, determinante principale e quotidiana nello sviluppo delle complicanze croniche e acute; i dati glicemici sono informazioni che, interpretate correttamente, permettono al paziente, e proprio a lui, una partecipazione attiva alla cura, lavorando per la propria salute e sostenendo la cura al domicilio, con il supporto del suo team di cura. Tali capacità, per essere trasferite e acquisite dal paziente, necessitano di competenze specifiche che solo un team specialistico esperto riesce a garantire.

Se oggi, per diverse ragioni, esiste una tendenza allo spostamento dell’assistenza al malato cronico in ambito domiciliare, risulta ancora più forte la necessità di un serio e profondo lavoro di squadra tra team diabetologico, medicina del territorio e persona ammalata, che deve essere assistita e guidata in un complesso percorso tra informazioni sulla glicemia derivate dall’autocontrollo, alimentazione, attività fisica, molteplicità di farmaci assunti e loro dosaggi, ricordandoci che difficilmente una persona con diabete ha solo il diabete.

Con tutta la stima possibile nei confronti della professionalità di un operatore sanitario quale il farmacista, che certamente ha un ruolo importante nel cammino intrapreso per combattere il diabete, assolutamente fondamentale negli aspetti di educazione a corretti stili di vita e di prevenzione della malattia, non è pensabile delegare alla farmacia la responsabilità della formazione delle persone con diabete al corretto e appropriato avvalersi degli strumenti e dei sistemi per l’autocontrollo o, peggio, dei principi stessi dell’autocontrollo. Nella migliore delle ipotesi, si tratterebbe di una inutile duplicazione e sovrapposizione di ruolo con il team diabetologico. Nel caso peggiore, potrebbe portare a un serio aggravamento dei conti del sistema sanitario, visto che il 70% della spesa per la cura del diabete è dovuto al trattamento delle complicanze, principalmente per accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni, imputabili chiaramente a un mancato controllo dell’andamento glicemico, assicurato, appunto, dal corretto autocontrollo.

 

Nicoletta Musacchio
Presidente Associazione Medici Diabetologi

 

 

da quotidianosanità.it