Pubblicità ingannevole nel diabete
Né i test genetici né la terapia con staminali sono ancora a portata di paziente. Meglio, per ora, lasciarli ai ricercatori
- Molti i progressi della ricerca, tutti di estremo interesse per studiare le strade che portano alla malattia. Ma tutte queste scoperte non sono ancora di alcuna utilità nella pratica clinica, non aiutano cioè a prevedere con certezza chi è a rischio di sviluppare una malattia multifattoriale come il diabete, l’ipertensione, l’osteoporosi o le malattie cardiovascolari
- Stesso discorso per la terapia cellulare a base di staminali; gli studi sono ancora tutti in corso e non è il caso di diventare cavie di se stessi, perché lo scotto da pagare potrebbe esser molto alto
- E’ bene continuare a tenersi informati, ma per il momento è meglio aspettare perché non ci sono certezze né dei benefici, né tantomeno dei rischi. Nonostante le promesse dei tanti venditori di fumo, in carne ed ossa o sul web
“Inganno 1” Supplementi e ‘integratori’ per prevenzione e terapia. La Nutraceutica è una scienza abbastanza recente che si occupa dello studio di molecole bioattive contenute negli alimenti, che hanno una funzione benefica sulla salute umana. Il termine è un neologismo derivante dalla fusione di “nutrizione” e “farmaceutica”. Negli ultimi anni il ricorso ai nutraceutici per migliorare lo stato di benessere e curare malattie quali diabete e malattie cardiovascolari è cresciuto in maniera esponenziale, probabilmente per il desiderio di terapie naturali meno invasive e/o di trattamenti innovativi in linea con il sempre più diffuso modello di vita naturalistico e salutistico. “Con la promessa di risultati miracolosi sul peso corporeo e sul controllo glicemico – dice la dottoressa Rosalba Giacco, primo ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR di Avellino e membro del Consiglio Direttivo della SID – sempre più pazienti affetti da diabete e malattie cardiovascolari si sono avvicinati all’utilizzo di prodotti come nutraceutici, fitofarmaci e altri integratori, la cui commercializzazione fino al 2006 non era adeguatamente regolamentata. Tutto ciò ha fatto crescere il bisogno di avere risposte di comprovata certezza scientifica sull’efficacia biologica e sicurezza di questi composti. Forti e consolidate sono attualmente le evidenze scientifiche relative all’utilizzo di nutraceutici quali pectine, β-glucani e amido resistente di indurre un più basso incremento della glicemia postprandiale o dei fitosteroli e degli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 di controllare i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, rispettivamente. Incerte o assenti sono, invece, le evidenze scientifiche relative agli effetti benefici dei polifenoli e di erbe medicinali quali ginseng, cipolle, aglio, cannella che contengono principi attivi in grado di migliorare il metabolismo del glucosio, quello dei lipidi, lo stato antiossidante e la funzionalità vascolare. Devono essere soddisfatti criteri specifici per poter dichiarare un nutraceutico biologicamente efficace, per definire quale sia il suo target e per quali tra i nutraceutici oggi in commercio esista una dichiarazione che sostenga la capacità di migliorare una funzione biologica o di prevenire una malattia”.
“Inganno 2” Curare il diabete con le cellule staminali. Quando si parla di un rimedio per una qualche malattia e quindi di un trattamento farmacologico ci sono delle norme stabilite per legge a livello europeo e nazionale che definiscono un percorso ‘certo’ perché la qualità di produzione di un farmaco e quindi la sua eventuale finale messa in commercio avvenga in un contesto di efficacia ma soprattutto di sicurezza per la persona che riceverà questo farmaco. “E questo è quello che attiene alla medicina basata sull’evidenza normale – sottolinea Piero Marchetti, professore associato di endocrinologia all’Università di Pisa – e naturalmente anche le terapie cellulari devono seguire alcune regole precise che sono diverse a seconda che la cellula in questione (come ad esempio le staminali), sia manipolata più o meno pesantemente. Il mondo del diabete è ancora un po’ ai margini di questa problematica, anche se da più parti si sta cercando di far passare il concetto che la terapia con cellule staminali sia un po’ la panacea per tutta una serie di malattie croniche, tra cui appunto il diabete di tipo 1 ma non solo. Di qui il caso di un centro tedesco verso il quale si stava creando una migrazione di ‘viaggiatori della speranza’ che pensavano di trovare la soluzione ai loro mali. Finché ci sono scappati dei morti e tutto è stato fermato. Va detto chiaramente che nessuna di queste terapie a base di cellule staminali, per quanto riguarda il diabete, ha per il momento a disposizione elementi scientifici per poter dire ‘se non altro è sicura’ e ‘forse può pure funzionare’. Ma va pur detto che in tutto il mondo sono in corso vari approcci, anche con cellule mesenchimali, per valutare in una serie di situazioni cliniche inerenti al diabete questo possa essere di aiuto. Da un lato si sta cercando di capire quanto le cellule staminali mesenchimali possano modulare i processi immunologici che portano alla morte delle beta cellule nelle persone con diabete di tipo 1 o nelle persone che ricevono un trapianto di isole pancreatiche; altri studi cercano di capire se l’uso di cellule staminali mesenchimali può essere utile per il trattamento delle complicanze croniche del diabete, come le ulcere diabetiche. Gli studi ci sono ma sono ancora in corso e non ci sono risposte certe al momento. I danni con questo tipo di terapia dipendono soprattutto dal fatto che se il sistema non è controllato e quindi la produzione non è stata caratterizzata, ci può essere la possibilità che si generino crescite incontrollate di queste cellule staminali che possono dar luogo a tumori di varia natura. Questo non vuol dire le persone non debbano informarsi e anche andare a parlare con i centri che propongono queste terapie, purché poi quello che riportano da questo colloquio sia un qualcosa di documentato e ridiscusso con il proprio medico di fiducia”.
“Inganno 3” Predire il diabete con i marcatori genetici. Nel settore della genetica, ma più in generale in quello della medicina molecolare, uno degli obiettivi di chi fa ricerca è individuare delle componenti molecolari, in questo caso genetiche, che siano marcatori della malattia. E ce ne sono tanti di questi marcatori che rivestono un grande interesse soprattutto quando aiutano a scoprire nuovi pathways, nuove vie di malattia: quali quelle su cui poi, a loro volta, altri ricercatori svilupperanno le loro ricerche. “E molto più vendibile ad un pubblico laico è la capacità di questi marcatori di predire la malattia – spiega Vincenzo Trischitta, Ordinario di Endocrinologia all’Università ‘La Sapienza’ di Roma – perché la predizione è l’elemento indispensabile per andare a fare prevenzione. Ancor meglio se un marcatore che può predire la malattia è di tipo genetico – col quale, cioè, nasco – perché invece di svilupparsi nel corso degli anni (ad esempio, se sviluppo il colesterolo a 30-40 anni e mi predice un infarto del miocardio dopo i 50 anni) se ho una componente genetica che mi predice l’infarto del miocardio o il diabete mellito, più di ogni altra medicina molecolare mi permette una predizione precocissima. E ovviamente tutti saremmo felicissimi se questo fosse fattibile, ma qui finisce la parte bella, e comincia quella brutta: non tutti i marcatori genetici che sono stati fino ad oggi identificati per il diabete o per le malattie cardiovascolari, pur ‘veri’, sono poi utilizzabili nella pratica clinica, in quanto capaci di predire con buona approssimazione chi svilupperà la malattia e soprattutto, aggiunti ai modelli di predizione che già esistono, che costano poco e sono ben collaudati, non migliorano il modello. Se io ho un marcatore che di suo non mi predice granché la malattia e che, se lo aggiungo a dei modelli per il calcolo del rischio che già di per sé funzionano benissimo e non me li migliora, per quale motivo io dovrei spendere dei soldi per utilizzare questo marcatore? L’unico motivo è che se io spendo dei soldi, c’è qualcuno… che li guadagna: e questa è pubblicità ingannevole. Né per l’obesità, né per il diabete, né per le malattie cardiovascolari in questo momento i marker genetici sono d’aiuto nella pratica clinica. Il gene oggi più associato al diabete, riscontrato da tutti gli studi è il TCF7L2 (qualunque genetista lo conosce) ed è un attore protagonista di tutti gli studi sul diabete; ma quando lo si prova ad utilizzare il TCF7L2 o anche gli altri 64 geni ormai associati in maniera indiscutibile, al di là di ogni ragionevole dubbio col diabete, i modelli di predizione genetica non funzionano bene. E se aggiunti ai modelli classici (es. il modello di predizione del Framingham, sia per il diabete che per il cardiovascolare, che si basa sulle caratteristiche cliniche del paziente: es. obesità, età, familiari col diabete e così via, arriva – anche se non con molti anni di anticipo – e con una buona approssimazione la possibilità di ammalarsi o meno). E c’è qualche cialtrone che addirittura vorrebbe utilizzare i marcatori genetici per predire la risposta alla dieta. Il pubblico non deve cadere in queste trappole: man mano che ci si avvicina ai quartieri ‘bene’, aumentano le pubblicità dei laboratori privati che offrono un ‘pannello genetico’ per l’osteoporosi a 800 euro. La genetica oggi non deve essere utilizzata per la predizione delle malattie multifattoriali, perché oggi esistono modelli di predizione abbastanza ben performanti, ai quali la genetica non ha molto da aggiungere. Una verità che non farà audience, né scoop, ma che è l’unica verità.
“Inganno 4” Predire le malattie cardiovascolari con marcatori genetici. La morbilità e la mortalità per malattie cardiovascolari rappresentano un importante problema per la salute pubblica in tutto il mondo. L’avanzamento delle conoscenze sulle complesse basi patogenetiche delle malattie cardiovascolari costituisce un importante passo per ridurre l’impatto sulla salute pubblica. “Diverse evidenze indicano che fattori genetici abbiano un ruolo importante nella patogenesi delle malattie cardiovascolari – sottolinea Giorgio Sesti, ordinario di medicina interna all’Università della ‘Magna Graecia’ – con stime di ereditabilità fino al 60% per la malattia coronarica. Il completamento del ‘Progetto Genoma Umano’ ha provocato grandi attese per la comprensione dell’architettura poligenica di malattie complesse quali le malattie cardiovascolari. Tuttavia, nonostante la crescente identificazione di varianti genetiche per le malattie cardiovascolari e dei suoi fattori di rischio, i risultati degli studi di genetica non si sono tradotti in applicazioni alla clinica pratica per l’identificazione dei soggetti ad elevato rischio cardio-vascolare. A differenza delle malattie genetiche mendeliane, non è possibile identificare una singola variante genetica come responsabile delle malattie cardiovascolari. Piuttosto, i fenotipi delle malattie cardiovascolari al pari delle altre malattie complesse, quali in diabete mellito tipo 2, sono dovuti alla somma di polimorfismi multipli, ciascuno con effetti relativamente piccoli sulla espressione genica e/o la funzione di una proteina e quindi sul rischio malattia. Gli studi di Genome Wide Association (GWAS) hanno consentito di identificare oltre 20 loci genici associati all’infarto del miocardico e ad altri fenotipi cardiovascolari. Malgrado questi promettenti successi ottenuti con gli studi di GWAS, molti aspetti delle cause genetiche delle malattie cardiovascolari rimangono insoluti.
Ufficio stampa SID
Maria Rita Montebelli
Andrea Sermonti