Risponde il Prof. Giuseppe Remuzzi, Direttore del Dipartimento dei trapianti degli Ospedali Riuniti di Bergamo In gran parte dei casi le malattie renali non danno alcun segno finché il danno è fatto. Sottoporre chiunque a esami per valutare la salute renale è chiedere troppo, tuttavia, come segnala uno studio pubblicato sul British Medical Journa, ci sono fasce di individui nelle quali lo screening è giustificato.
Quali esami sono più adatti per valutare le condizioni renali? La strategia migliore è guardare nell’urine, idealmente tramite un sistema economico ed efficace rappresentato da particolari strisce reattive dipstick. Queste misurano la presenza di albumina, proteine, cellule e glucosio. Se tutti i parametri sono negativi si esclude la maggior parte delle patologie renali, se invece c’è qualche valore positivo vale la pena fare esami di approfondimento.
A chi andrebbe proposto questo tipo di test? Di sicuro a tutti gli individui a rischio a prescindere dall’età, cioè diabetici, persone in sovrappeso, ipertesi, chi ha famigliarità per diabete, obesità, ipertensione e malattie cardiovascolari. Il test può poi avere senso dopo i 60 anni, anche se alcuni studi suggeriscono l’opportunità di ricorrvi anche dopo i 40.
Quali sono i segnali più comuni di malattie renali? Nel caso di infezioni e calcoli il dolore. La presenza di sangue nelle urine non va mai sottovalutata. Sintomi generali come stanchezza, anemia, dolori ossei, mal di testa, pressione alta e gambe gonfie possono, invece, essere spia di malattie renali già in fase avanzata.
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