La persona con il diabete ha bisogno di sapere molte cose per gestire al meglio la sua condizione. Quali esattamente? Dipende dal tipo di diabete, dalla personalità del paziente e… dal Team diabetologico che lo segue.
Educazione è una parola chiave nella assistenza al paziente diabetico. Per consentire al paziente di compiere scelte coscienti e adeguate, il Team diabetologico deve aiutarlo ad acquisire diverse informazioni e competenze. Quali esattamente? Molto dipende dal tipo di diabete e dalla terapia consigliata, risponde Nicoletta Musacchio, direttore della Scuola Permanente di Formazione Continua della Associazione Medici Diabetologi, ma anche dalle caratteristiche della persona. C’è chi vuole avere una infarinatura su tutto e chi invece preferisce avere poche nozioni ma chiare.
Parliamo del minimo indispensabile. Cosa deve sapere la persona che cura il suo diabete senza farmaci ma solo adottando uno stile di vita sano e una alimentazione corretta? Per esempio deve essere chiaro cosa intendiamo per ‘vita sana’ o alimentazione ‘corretta’. Sono concetti sui quali è importante intendersi, considerando che il punto di partenza non deve essere il nostro concetto astratto ma la vita e le abitudini alimentari del paziente. Spesso è più importante partire con poche nozioni chiare, per esempio sui benefici dell’esercizio fisico, e andare avanti nel corso del tempo soprattutto partendo dalle esigenze esplicite del paziente e da quelle implicite, come gli errori che commette o le incertezze che mostra. Anche l’autocontrollo della glicemia può essere di aiuto.
Lei consiglia di controllare frequentemente la glicemia anche ai pazienti che non seguono terapie farmacologiche? In questa fase della patologia l’autocontrollo non è sempre indispensabile dal punto di vista clinico, ma è un arma fondamentale per la presa di coscienza della malattia e della reale possibilità di incidere sul controllo. Attraverso il glucometro il paziente può toccare con mano l’effetto delle scelte alimentari e di vita che fa. Il feedback sulla glicemia è molto rapido e questo aiuta l’educazione, rinforzando – ciò è molto importante – le scelte corrette. Pensiamo al peso per esempio. Quasi tutti i pazienti in queste condizioni devono perdere peso. Se sono sovrappeso e soffro di iperglicemie postprandiali devo ridurre il contenuto di carboidrati in un pasto. Il giorno che inizio a farlo, il glucometro ‘premia’ subito la mia scelta segnalando una glicemia corretta. Per vedere gli effetti sulla bilancia invece occorre più tempo. Lo stesso vale per l’esercizio fisico.
E per quanto riguarda l’educazione alimentare? La quantità e la qualità dell’informazione che circola in materia alimentare è migliorata, ci sono meno ‘false credenze’. Si parte quindi da una certa base. Noi non vogliamo trasformare i pazienti in dietisti o costringerli a fare calcoli ogni volta che si siedono a tavola, ma devono sapere che alimenti diversi hanno effetti diversi sulla glicemia e sull’organismo e che la presenza di alcuni andrebbe aumentata e quella di altri ridotta.
Pensiamo ora ai pazienti seguiti con farmaci orali… Questa domanda mi ricollega a una cosa che dicevo prima. Se il paziente fa diversi controlli della glicemia, i dati così ottenuti permettono al diabetologo di capire fino a quando può attendere prima di associare una terapia farmacologica al mutamento degli stili di vita. Non è obbligatorio che il paziente in terapia farmacologica abbia bisogno di un surplus di informazioni. Dipende dal tipo di farmaci. Alcuni provocano ipoglicemie, altri no…
Alcuni si prestano a essere dosati dal paziente… Sì. Non è detto, però, che questa possibilità debba sempre essere utilizzata. Molte persone provano una forte ansia e spaesamento all’idea di potere e di dovere prender decisioni in merito alla terapia. Non è corretto imporre loro queste responsabilità. È più importante verificare che conoscano il nome del farmaco e le modalità di assunzione concordate. Certo, se abbiamo un paziente che ha voglia di utilizzare questa leva dell’autocontrollo, dobbiamo verificare e approfondire le sue conoscenze per quel che riguarda l’impatto dei pasti e del farmaco sulla glicemia.
Quindi deve sapere come funziona il pancreas, cosa è l’insulinoresistenza, a cosa serve l’insulina… Non necessariamente. Di sicuro questa è la situazione migliore. Ma non è necessario ‘fargli una testa così’ di nozioni. Soprattutto perché il tempo a disposizione non è infinito e se il diabetologo lo impiega a parlare finisce per non fare la cosa più importante, cioè ascoltare.
Quindi non c’è fretta… Non sempre è necessario fare un corso di metabolismo a tutti. Ci sono due eccezioni, però, e questo lo dico anche con spirito autocritico. Forse prendiamo un po’ sottogamba l’evenienza di ipoglicemie legata all’uso di alcuni ipoglicemizzanti orali. Dal punto di vista clinico si tratta di eventi rari e quasi sempre poco gravi, ma dal punto di vista psicologico la crisi ipoglicemica viene vissuta con grande spavento e inquietudine. Dobbiamo quindi investire più tempo su questo aspetto. L’altra eccezione è l’adeguamento della terapia. Anche se sappiamo che il paziente non ci seguirà perfettamente, è importante spiegargli per quale ragione cambiamo una prescrizione o una posologia, soprattutto facendo un riferimento esplicito ai dati glicemici presenti sul diario e ai vissuti raccontati dal paziente. ‘Visto che lei mi dice che spesso la mattina…’. In questo modo confermiamo la personalizzazione della terapia e responsabilizziamo il paziente facendogli capire che è utile tenere un diario ordinato.
E veniamo ora al paziente che passa da una terapia con pastiglie al trattamento insulinico. Le esigenze educative qui sono decisamente maggiori, ma non dobbiamo dimenticare che il passaggio alla terapia insulinica è vissuto molto male dal paziente che si sente spesso ‘in fase (terminale)’ di peggioramento continuo “ormai sono giunto all’insulina”. Insistere SOLO sull’aspetto ‘nozionistico’ rischia di ottenere l’effetto opposto. Gli sforzi educativi sono quindi concentrati sugli aspetti positivi, per esempio la possibilità di adeguare l’insulina al contenuto dei pasti o alle sfide della giornata. In un secondo momento facciamo un addestramento vero e proprio più mirato a una gestione autonoma e consapevole del proprio trattamento.
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