Gli scienziati di tutto il mondo lanciano l’allarme su una sottovalutata malattia
In continua espansione, con diffusione in età sempre più giovane e un corollario di patologie cardiovascolari: l’obesità, ormai ritenuta un fattore di rischio primario, e il diabete di tipo 2 sono da considerare tra i principali problemi del XXI secolo. E da combattere. Con stili di vita adeguati e lungimiranti. Qui non si parla di moda né dì look, ma di due malattie che si possono annoverare tra le principali epidemie del XXI secolo: l’obesità e il diabete di tipo 2. Patologie che si incrociano e si sovrappongono, con costi personali e sociali davvero pesanti. Se arrivi prima l’obesità o il diabete di tipo 2 è argomento che appassiona gli scienziati: fatto sta che il 95 per cento delle persone obese ha il diabete, e quasi tutti i diabetici non insulino-dipendenti hanno seri problemi di peso. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Unione europea hanno da tempo lanciato l’allarme, perché si sa moltissimo sull’origine, sulle condizioni e sui meccanismi di sviluppo delle due malattie, ma purtroppo spesso si sottovaIuta quello che ci succede: non ci allarmiamo se «mettiamo su qualche chilo”, consideriamo andare in palestra o fare attività fisica scomodo e fastidioso, e non percepiamo il diabete come pericoloso se non quando ce l’abbiamo.
Eppure diabete e obesità si sovrappongono fino a generare un nuovo termine scientifico, “diabesità”, che risulta dagli studi iniziati negli anni ‘20 dal padre della diabetologia, Elliot P.Joslin. Dice il professor Antonio Pontiroli, presidente della Fondazione ricerca della Società italiana di diabetologia (Forisid), ordinario di Medicina interna all’università degli Studi di Milano: «È un’emergenza subdola: in media la diagnosi arriva otto anni dopo la malattia, nonostante basterebbe una banale analisi del sangue per rivelarla. Ma i primi sintomi spesso sono così blandi da non insospettire gli stessi pazienti. E pochi pensano a controlli e prevenzione». Secondo le stime, nei prossimi 20 anni il numero dei diabetici è destinato a raddoppiare. «Nel nostro Paese sono più tre milioni, cui si somma un altro milione di italiani che ancora non sa di esserlo. Sono tutti casi di diabete di tipo 2, cui vanno aggiunti i 120.000 malati della forma infantile (tipo I)».
In crescita tra i più giovani
«Nel 1997 le persone con diabete rappresentavano il 3 per cento della popolazione, e se la quota di persone con tipo I è abbastanza stabile, intorno a 120-150 mila, sono aumentate quelle con il tipo 2, passate da circa il 2,7 per cento di 10 anni fa al 4,1 di oggi. Per l’Oms, che stima oltre 360 milioni di diabetici nel mondo per il 2025, la previsione è di quasi un italiano diabetico su 10, tra 20 anni. Ma il problema è che stiamo registrando una preoccupante crescita del tipo 2 in bimbi e adolescenti, una volta risparmiati dalla malattia. Secondo uno studio dell’università Milano-Bicocca, ancora in corso, condotto su 5.070 alunni delle scuole elementari di Milano e Monza, dice Pontiroli «il 3,7 per cento dei piccoli di 6-11 anni ha valori di pressione arteriosa oltre la norma, un dato che sale al 22,2 per cento fra i bimbi obesi. Il fatto è che metà degli obesi dopo 25 anni di chili in eccesso è diventato diabetico. Insomma, a causa dell’obesità il diabete di tipo 2, un tempo detto senile, aumenta in modo vertiginoso fra i giovani. Le cose vanno male anche in Europa: dati recenti indicano che il 6 per cento degli obesi tra i 6 e i 37 anni è colpito da questa malattia. E nei centri di diabetologia italiani è sempre più alto il numero dei giovani diabetici che si presentano con complicanze cardiovascolari già a 30 anni. Persone di fatto a rischio di infarto e altre malattie del cuore». Un problema che riguarda così da vicino i giovani non è più una “faccenda da medici”, ma un problema sociale.
«In Italia», precisa Michele Carruba, direttore del Centro studio e ricerca sull’obesità dell’Università degli Studi di Milano, «a fronte di un dato per gli adulti che dice come uno su tre sia in sovrappeso e il 9,1 percento obeso, mediamente è obeso il 13 percento di bambini e adolescenti, Inoltre, il 26,9 percento dei maschi e il 21,2 delle femmine tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso, con un picco soprattutto nella fascia d’età 6-9 anni: 33,6 percento nei maschi e 34,6 nelle femmine».
Che cosa può fare un “diabetico”? «La terapia del diabete nel soggetto obeso è difficile, risponde Pontiroli. «Ma la riduzione di 10 kg di peso permette di ottenere, da sola, un miglioramento del compenso glicemico inimmaginabile con i farmaci». Non solo, ma negli obesi la modifica dello stile di vita o l’uso di farmaci capaci di ridurre l’assorbimento intestinale di zuccheri o lipidi e di migliorare la sensibilità all’insulina possono ridurre i nuovi casi di diabete del 35-60 per cento. Il diabete di tipo 2 può e deve essere prevenuto adottando corretti stili di vita, cioè alimentazione equilibrata e attività fisica, misure che si sono mostrate utili anche nella cura delle forme più lievi dì malattia. La ricerca sta facendo passi da gigante, e in diverse direzioni. All’University of Tens Health Science Center si studiano i rapporti tra diabete e obesità nel Papio hamadryas, un babbuino con caratteristiche biologiche molto simili a quelle dell’uomo. In altri Paesi si studia il pancreas artificiale, uno strumento di monitoraggio e di rilascio di insulina.
Nuovi farmaci vengono sperimentati e messi in commercio. È il caso di due molecole, con innovativo meccanismo d’azione, da poche settimane disponibili anche nel nostro Paese: sitagliptin ed ezenatide (sviluppato dallo studio di una lucertola dell’Arizona, il Gila monster) utile come terapia aggiuntiva per migliorare il controllo glicemico nei pazienti con diabete di tipo 2. Due farmaci antidiabetici che non fanno aumentare di peso. Entrambi, infatti, agiscono mimando l’azione di un ormone, il GLPI, che stimola la secrezione di insulina.
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