Se un diabetico adotta la dieta paleolitica e rinuncia ai carboidrati può eliminare l’insulina?
Si può fare a meno dell’insulina?
Davvero con la dieta giusta chiunque soffra di diabete potrebbe fare a meno dell’insulina? Visto che con questa malattia si ha troppo “zucchero nel sangue”, perché non ridurre, o addirittura eliminare, dal menu i carboidrati (ricordiamo che gli zuccheri sono carboidrati). Ed è sensato cercare in ogni modo, se non di eliminare, almeno di ridurre, le dosi di insulina sia nel diabete 1 che nel tipo 2? Domande che tanti si fanno, visto che si parla molto dei vantaggi delle diete low carb o di quella paleolitica che, come è facile intuire, abbondano in grassi e proteine e scarseggiano invece di carboidrati.
«Procediamo con ordine e un filo di pazienza – chiarisce Emanuele Bosi, professore di Endocrinologia all’Università San Raffaele di Milano – perché la materia è complessa. La chiave di tutto è un ormone, l’insulina, la cui carenza, relativa o assoluta, è causa del diabete e della sua manifestazione principale, l’iperglicemia. Nelle persone con diabete di tipo 2 l’insulina c’è, ma non funziona come dovrebbe. Il ricorso a diete nelle quali i carboidrati vengono ridotti rispetto allo standard della dieta mediterranea (in cui i carboidrati rappresentano circa il 55% delle calorie), favorisce la perdita di peso e riduce la glicemia».
Cancellare pane, pasta e riso?
E perché, non abolire del tutto i carboidrati?
«La quota di carboidrati non deve scendere sotto il 40%, perché alla riduzione dei carboidrati corrisponde un proporzionale incremento di grassi e proteine – visto che qualcosa bisogna pur mangiare — che a lungo termine può aumentare il rischio cardiovascolare.E lo sappiamo da tempo. Le prime osservazioni i merito risalgono infatti ai tempi della seconda guerra mondiale quando un medico americano, al seguito delle truppe, osservò che i poveri contadini del Sud d’Italia, che si nutrivano di cereali, in genere integrali, verdura, frutta, pochissima carne, pesce e olio d’oliva (insomma seguivano la dieta poi chiamata mediterranea ndr) erano meno esposti al rischio di malattie cardiache rispetto ai “ricchi” americani, sulle cui tavole abbondavano carni rosse e ricchi condimenti a base di burro» spiega Emanuele Bosi.
Diabete 2: come ridurre l’insulina?
Ma allora, almeno a chi ha il diabete 2, conviene almeno ridurre i carboidrati?
«Se si tratta di persone in sovrappeso o obese, può essere utile, per periodi transitori, ma bisogna farlo con buon senso, senza scendere mai, come si è già detto, al di sotto del 40% delle calorie totali, privilegiando i carboidrati complessi e di tipo integrale (esempi pane, pasta e riso integrali), associati a fibre contenute nelle verdure e nei legumi. Nel caso in cui la persona con diabete 2 sia, come spesso accade, in terapia con insulina, un regime alimentare di questo tipo, specie se associato a un programma di incremento dell’attività fisica, può consentire la riduzione delle dosi di insulina e in alcuni casi anche la sospensione ».
Diabete 1: eliminare l’insulina?
E nel diabete di tipo 1?
«La situazione è radicalmente diversa: in questi casi infatti la carenza di insulina è pressoché totale in quanto le cellule che la producono, all’interno delle isole del pancreas, vengono distrutte da un processo autoimmune cronico, la cui origine è ancora ignota, ma che, una volta innescato, persiste per tutta la vita. In questi casi, a causa della carenza di insulina, il glucosio si accumula nel sangue senza potere “entrare” nelle cellule dove viene utilizzato come substrato di energia e l’unico modo per garantire la sopravvivenza della persona è somministrare l’insulina dall’esterno, attraverso iniezioni multiple giornaliere (normalmente quattro), da calibrare in rapporto all’andamento».
Rischio iperglicemia?
Insomma, dieta o non dieta nel diabete 1?
«Arrivo finalmente a rispondere. La quantità di insulina da somministrare è strettamente legata alla assunzione di carboidrati, ma l’azzeramento dei carboidrati dalla dieta per eliminare l’insulina non ha senso, perché senza insulina la glicemia sale comunque per effetto della “smobilitazione” dei carboidrati di deposito come il glicogeno. Inoltre, l’iperglicemia si associa alla chetoacidosi, cioè all’accumulo di altre sostanze provenienti dal metabolismo dei grassi e delle proteine che sono pericolose e possono progressivamente portare al coma ed alla morte. Prima della scoperta dell’insulina le persone che sviluppavano il diabete di tipo 1 morivano e ancora oggi possono morire di coma chetoacidosico se, per qualunque ragione, l’insulina viene incidentalmente o deliberatamente a mancare. L’eventuale riduzione dell’apporto dei carboidrati nelle persone con diabete di tipo 1 può essere valutata, con molta attenzione, se l’obiettivo è quello di ridurre i valori e le oscillazioni della glicemia, ma mai deve essere associata alla sospensione dell’insulina che, ripeto, è potenzialmente letale».
Si può prevenire il diabete?
Visto che il diabete di tipo 1 dipende da un processo autoimmune, che dura tutta la vita, sono stati fatti studi per prevenirlo in persone ritenute a rischio, magari per la loro storia familiare?
«Studi e sperimentazioni ne sono state fatte molte, purtroppo fino ad oggi senza risultati significativi. La familiarità per il diabete di tipo 1 conferisce in effetti un aumentato rischio, anche se piuttosto contenuto, nell’ordine del 2-4% nei parenti di primo grado. La valutazione del rischio si fonda perciò soprattutto sulla ricerca degli autoanticorpi contro le cellule che producono l’insulina, che oggi è possibile misurare nel sangue attraverso test abbastanza semplici. Nelle persone che risultano positive per questi anticorpi, vi è un certo rischio di sviluppare, nel corso degli anni, il diabete di tipo 1. Ed è proprio su queste persone, per lo più fratellini o sorelline di bambini con il diabete di tipo 1, che si concentrano gli sforzi per arrivare alla prevenzione del diabete di tipo 1».
Il ruolo degli autoanticorpi?
Se sono questi anti-anticorpi la causa del diabete, perché non provare ad eliminarli?
«Gli autoanticorpi non sono proprio la causa diretta, ma sono strettamente associati al meccanismo di distruzione delle cellule che producono l’insulina e pertanto vengono tecnicamente considerati dei “marcatori” del rischio di malattia. Certamente, se fossimo capaci di rimuoverli, significherebbe che abbiamo rimosso il meccanismo responsabile della malattia, ma ad oggi questo risultato non è mai stato raggiunto, purtroppo»
Gli ultimi studi
Quali altri interventi sono stati fatti per prevenire il diabete di tipo 1?
«Si è provato in tantissimi modi, compresa la dieta. Si è pensato di eliminare o ritardare l’introduzione del glutine, visto che esiste un’associazione tra celiachia e diabete. Niente da fare. Si è tentato dando ai bambini, a partire dalla nascita, latte idrolizzato. Nessun risultato. Qualche successo, in pazienti all’esordio della malattia, si è ottenuto con farmaci immunosoppressori (a partire dalla storica esperienza con la ciclosporina, il farmaco che ha cambiato la storia dei trapianti) o immunomodulatori, con risultati complessivamente deludenti, anche se in alcuni studi qualche risultato in termini di migliore preservazione della funzione residua è stato ottenuto. Il più importante di tutti questi studi si è concluso di recente, durato oltre 10 anni e condotto dal consorzio internazionale TrialNet, si è basato sulla somministrazione dell’insulina in pillole».
Insulina in pastiglie?
Insulina in pillole?
Perché non utilizzarla anche per i malati? «Perché l’insulina per bocca non funziona per ridurre la glicemia, l’ipotesi , alla base della ricerca, era che potesse agire come immunomodulatore: purtroppo, anche in questo caso, i risultati complessivi sono stati negativi, pur con qualche effetto in alcuni gruppi di soggetti. Quindi, a tutt’oggi, non esiste niente che abbia dimostrato di essere efficace nella prevenzione del diabete di tipo 1. Naturalmente, gli studi proseguono perché l’obiettivo è di grandissima rilevanza e speriamo.
Le «origini» della malattia: troppa igiene?
Dove sta l’ostacolo?
«Il problema centrale è che a tutt’oggi ignoriamo la causa dell’autoimmunità all’origine del diabete di tipo 1. Fintanto che non capiremo il meccanismo di avvio e perpetuazione di questo processo perverso responsabile della distruzione delle cellule che producono l’insulina, non riusciremo a mettere a punto una prevenzione veramente efficace. Certo è suggestivo il fatto che i bambini delle bidonville e delle favelas abbiano malattie di tutti i tipi, ma fondamentalmente non sviluppino mai, o quasi mai, il diabete di tipo 1 e altre malattie autoimmuni o allergiche. E se fosse la precoce e continua esposizione a virus, batteri o parassiti a proteggerli? Ma, nel caso, quale tra i tanti microbi? Il mistero purtroppo è ancora fitto, almeno per ora».
Complotto di Big Pharma?
Non ci sarà un complotto di Big Pharma che spinge a tener segreti i benefici delle diete?
«Nessun complotto, quello della lotta al diabete di tipo 1 è uno sforzo corale in cui tutti sono impegnati, ognuno nel proprio ruolo e per le proprie competenze, pazienti compresi. Per la dieta, vale quanto già detto».
Pericoli dell’ipoglicemia
È vero che ai bambini diabetici si danno, come terapia, caramelle e bevande zuccherate, per poi rimpinzarli di insulina?
«Bibite zuccherate e caramelle non vengono prescritte come terapia: servono per correggere un’eventuale ipoglicemia, cioè una discesa eccessiva degli zuccheri nel sangue causata da un eccesso di insulina. L’ipoglicemia è anch’essa pericolosa, può essere grave e portare fino al coma in quanto il cervello è l’unico organo a non funzionare in assenza di concentrazioni sufficienti».
di Daniela Natali