Social media: diabete e web sentiment – Presentazione del Diabetes web report 2015
Difficile per me parlare dopo questi interventi.
Io non sono un’esperta, non nel senso classico della parola, non come i relatori che mi hanno preceduto: non ho un background specifico, sono capitata sul web un pò per caso, un pò per necessità, sicuramente non ho “studiato”.
“Esperta” lo sono diventata sul campo, stando online, sul web, giorno per giorno, ogni giorno, da 15 anni.: sono un’autodidatta e così sono diventata la community manager della più grande comunità diabetica italiana online.
Quando ho avuto bisogno di risposte che non trovavo, quando ho avuto bisogno di più risposte, mi sono rivolta a internet, come tanti.
Ma questo l’abbiamo sentito dalle relazioni precedenti.
Internet però non è solo informazione.
Con il gruppo si può attraversare il confine del possibile e entrare nel territorio del rischio, inoltrarsi nella foresta, mettere alla prova il coraggio e vincere la paura. Gustavo Pietropolli Charmet
Se è noto che informarsi su google sia una pratica comune, l’utilizzo dei social è divenuto un modo per supportare le proprie conoscenze, ma anche per sentirsi meno isolati, cercare e trovare sostegno emotivo da parte di persone con le stesse problematiche
Il contributo che spero di portare oggi è relativo a quella parte del web, a mio avviso ancora un pò sottostimata, sottovalutata dalle istituzioni, a volte guardata con diffidenza, che definiamo “social”.
Ringrazio quindi per l’invito e per l’opportunità.
Parto da lontano.
Pensiamo agli ultimi avvenimenti di Parigi e all’hashtag #PorteOuverte: sui social, gli abitanti delle zone in cui sono avvenuti gli attentati hanno offerto rifugio ai passanti, ai turisti spaventati
Oppure all’hashtag #RechercheParis usato per avere notizie sull’incolumità delle persone care.
All’inizio dell’anno l’hashtag #jesuischarlie aveva giocato un ruolo fondamentale per dimostrare il sostegno del mondo alla Francia e il #notinmyname per dimostrare la dissociazione dell’Islamici dagli attentati.
Quindi i social, come strumento di comunicazione globale, ma anche di soccorso, di supporto in caso di bisogno.
Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Ecclesiaste
Nel diabete il bisogno di supporto (psicologico, ma non solo), il bisogno di comunicare, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo è fondamentale: aiuta ad affrontare meglio la malattia, a superare i momenti di difficoltà. Ma non solo.
Tutti ricorderanno il caso di Plinio Ortolani, il bimbo tardivamente diagnosticato e per questo rimasto gravemente offeso.
L’anno scorso la magistratura ha assolto tutti i protagonisti della vicenda.
La community, indignata per quella che riteneva una sentenza ingiusta, minacciava manifestazioni e proteste.
Attraverso un semplice hashtag, la community è riuscita a trovare una propria identità unitaria e a diventare protagonista di una protesta pacifica che è diventata virale sui social, esprimendo il risentimento per quella che è stata considerata un’ingiustizia, dimostrando inoltre la propria vicinanza alla famiglia Ortolani, portando avanti il concetto della necessità di una maggiore informazione sul diabete di tipo 1 per evitare casi di chetoacidosi all’esordio
E’ di pochi giorni fa l’annuncio da parte della SIEDP della campagna di informazione 2016 nelle scuole e presso i pediatri di famiglia, nonchè delle linee guida per il Pronto Soccorso in caso di ricovero di bambini con sospetto diabete per trattare la chetoacidosi e prevenire l’edema cerebrale: tutto questo, i social, con il papà di Plinio in testa, lo fanno da 5 anni.
I social quindi non solo come luogo virtuale in cui esprimersi, ma anche come forza propulsiva di istanze da tenere in considerazione, perché esprimono i bisogni più forti. E li esprimono prima.
Tra le istanze più sentite dalla community c’è il controllo dei contenuti reperibili sulla rete.
Quando vengono diffuse informazioni non veritiere o esagerate, gli utenti reagiscono con rabbia, paura, preoccupazione e pretenderebbero da parte delle istituzioni (società scientifiche, associazioni) una presa di posizione netta a loro tutela.
E’ sempre vivo nella community il ricordo della ragazzina di Firenze morta perchè convinta a sospendere l’insulina.
Più che informazione esagerata o non veritiera, il modo in cui recentemente molti giornali hanno pubblicato la notizia della partecipazione del figlio del noto calciatore Vidal alla sperimentazione sul pancreas artificiale è stata vera e propria disinformazione.
Le pagine di facebook sono letteralmente esplose: le persone hanno tempestato di email i vari giornali, oltraggiate dal modo in cui si è parlato di diabete, di complicanze, di trapianti, chiedendo rettifiche che non ci sono mai state: questa della mancata conoscenza, del mancato riconoscimento della loro malattia è una cosa che disturba moltissimo le persone con diabete.
Se ci pensiamo è un pò come se gli si negasse la propria identità.
Certo, quando a scrivere che il piccolo affetto da diabete 1 ha bisogno di un trapianto, confondendo il PA con l’organo pancreas è il Sole 24 ore o Libero, le persone si irritano per l’occasione mancata di parlare correttamente della loro malattia.
Quando però è la pagina web di una nota struttura sanitaria accreditata, che con un commento del responsabile della Sezione Malattie Metaboliche si esprime in modo scorretto ci si rende conto che quello del controllo dei contenuti è un aspetto di primaria importanza.
In realtà l’articolo originale era molto peggio! Sono state probabilmente le decine e decine di email di protesta dei componenti la community che hanno costretto la redazione del sito dell’ente ospedaliero a modificare la pagina.
E concludo con un’ultima caratteristica: i social come “sentinella”, come supporto dei meno esperti, come filtro, argine al dilagare di impostori, truffatori, di coloro che carpiscono la buona fede delle persone e che non sempre vengono “da fuori”.
La reazione può essere violenta, di isolamento o a volte ironica, come quella di un papà stanco (e al tempo stesso preoccupato) di leggere da parte di alcuni suoi “pari” consigli che offerti a tutti, indiscriminatamente sul web, possono essere pericolosi, se colti da chi non abbia gli strumenti per comprendere.
Massimiliano Capanna Credo sia giunto il momento di informare i millemila pediatri/Diabetologi italiani che il loro pensionamento si avvicina a grandi passi. C’è chi si antepone a loro, fornendo strumenti e strumentazioni atte al buon compenso del diabete, addirittura tramite messaggi privati su FB: azz glielo fa fare alle famiglie, di passare ore ed ore nei reparti, in attesa di visite e consulti, se la Diabetologia 2.0 è già fra noi, in grado di sovrapporsi (o anteporsi) ai dettami dei medici?
Nel mio piccolo, inizierò appena vedrò (o sentirò) la nostra doct (a dire il vero prestissimo, se non altro per salutarla in amicizia e per chiederle come sta); la informerò prontamente che “ormai ha fatto il suo tempo”, che “è superata”, antiquata e per niente al passo coi tempi. Le dirò che è l’ora di darsi all’ippica, che il diabete si gestisce in remoto, prima ancora che possa valutare qualsivoglia diario glicemico, o mettere mano a qualsivoglia terapia
Perché c’è chi ormai è più evoluto, chi aiuta i nuovi esordi con un semplice: “contattami in privato”. Le chiederò cortesemente di invitare tutti i suoi colleghi a sottostare ad i nuovi dettami new age, e di farsi da parte.
Insorgerà? Mah…come minimo mi aspetto mi risponda: il Diabetologo faccia il Diabetologo, l’operaio l’operaio, l’impiegato l’impiegato. Di sicuro essendo responsabile di un centro di riferimento farà conoscere il suo pensiero ai colleghi. E come sempre mi dirà: il diabete si tiene a bada grazie anche (e soprattutto) alla sinergia fra paziente e medico. No…non credo sarà molto felice di sentirsi dire che è già stata soppiantata dalla gestione del diabete 2.0
Indubbiamente ciò che succede sui social rappresenta un’evoluzione della comunicazione come l’abbiamo sempre intesa. Non esiste più un soggetto che “comunica” ed uno che “ascolta”, ma c’è un vero e proprio scambio.
La persona social non è un soggetto passivo, ma proattivo, reagisce e in assenza di un “controllore” svolge un ruolo spesso decisivo per la sicurezza del gruppo: ecco allora il cd “debunker”, una specie di autoanticorpo (visto che parliamo di diabete “ci sta”) contro quei soggetti che cerchino di attaccare il gruppo con teorie ascientifiche, complottiste, destabilizzanti, pericolose.
Una figura fondamentale in attesa di quel sistema di controllo che tutti auspichiamo perchè il rischio che ciarlatani o truffatori approfittino della disperazione o della debolezza delle persone è sempre in agguato.
Grazie per avermi ascoltato
Daniela D’Onofrio