Staminali: questi i progressi clinici
A cent’anni dall’assegnazione del premio Nobel a Camillo Golgi, che a Pavia nacque e lavorò, l’Università pavese ha voluto ricordarlo con un convegno sulle cellule staminali a cui hanno partecipato prestigiosi ricercatori internazionali. Uno degli organizzatori ne spiega il motivo e sintetizza i vari importanti interventi. A volte la scienza avanza all’improvviso per la scoperta di una nuova metodologia o di un particolare reagente. Esperimenti inaccessibili divengono di colpo fattibili. Come la “reazione nera” di Golgi (vedi articolo in basso) ha rivoluzionato lo studio del sistema nervoso, le cellule staminali oggi promettono di rivoluzionare le terapie. Le cellule staminali sono quelle cellule che, dividendosi in modo asimmetrico (una cellula figlia si differenzia, l’altra mantiene le caratteristiche di staminale), assicurano il rinnovo degli organi. Già ora la medicina preleva e reimpianta staminali nello stesso individuo o in altro paziente con ottimi risultati in alcune leucemie e tumori solidi. La derivazione, nel 1998, di cellule staminali da embrioni (rimasti inutilizzati nelle cliniche di fecondazione in vitro) ha dato grande impulso alla ricerca. Queste cellule, infatti, possono dare origine a tutti i tipi di tessuti. Dalla ricerca su animali con malattie simili a quelle umane vengono grandi speranze per una medicina rigenerativa. Di tutto questo si è trattato nel convegno di Pavia. Sotto l’occhio attento dei professori Mario Viganò e Paolo Dionigi, la scuola pavese di staminologia ha presentato risultati sia sull’impiego di tessuti ossei bioingegnerizzati nelle patologie ortopediche (Francesco Benazzo e Maria Gabriella Cusella De Angelis), sia sul trapianto di cellule staminali del sangue nel trattamento della talassemia; si ricorderà la guarigione avvenuta un anno fa del bimbo trapiantato, al San Matteo di Pavia, da Franco Locatelli, con le staminali del fratellino. Camillo Ricordi (Diabetes Research Institute, University of Miami) ed i suoi allievi pavesi, Luca Inverardi e Antonello Pileggi, hanno trattato le attuali possibilità di cura del diabete impiegando cellule staminali ingegnerizzate con un fattore proteico, la neurogenina 3 (NGN3), capace di indurre la differenziazione di cellule beta del pancreas a partire da cellule precursore. Il trattamento delle patologie del fegato con cellule staminali è stato affrontato da Maurizio Muraca (Bambino Gesù, Roma) mentre quelle dell’infarto del miocardio da Giulio Pompilio (Centro Cardiologico Monzino, Milano) e quelle neurodegenerative da Guido Nikkhah (University Neurocenter, Friburgo). A questo riguardo hanno colpito i dati presentati da Tiziano Barberi (Laboratory of Stem Cell and Tumor Biology, Sloan-Kettering Institute, New York) che ha mostrato la possibilità di derivare neuroni specializzati di diverso fenotipo nel topo ed in particolare di ottenere quelli dopaminergici nell’uomo, utili per la terapia del Parkinson. Ha inoltre spiegato come derivare dalle staminali embrionali umane cellule muscolari che, una volta trapiantate nel topo, si integrano nel muscolo dell’ospite e partecipano alla rigenerazione dello stesso. Questi risultati gettano le basi per un possibile utilizzo di cellule derivate da staminali embrionali umane nel trattamento sperimentale delle miopatie degenerative, quali ad esempio le distrofie muscolari. Se hanno impressionato le relazioni dedicate alla più imminente pratica clinica, quelle più legate alla ricerca sulla biologia delle cellule staminali non sono state da meno. Protagonisti il pioniere delle tecniche di trapianto nucleare negli anni ’60, John. B. Gurdon (Wellcome Trust/Cancer Research, Cambridge, UK) con la possibilità di riprogrammare geneticamente cellule differenziate in cellule staminali grazie all’impiego di ovociti di anfibio. Simili risultati permetterebbero di superare il problema etico nell’impiego delle cellule embrionali. Un altro dato è venuto da Michele Boiani (Max Planck Institute, Münster), che si è occupato dei fattori che determinano la pluripotenzialità delle staminali embrionali mettendo in evidenza che la natura embrionale di queste cellule dipende precipuamente dal terreno di coltura. Il “papà” di Dolly, Keith H. Campbell (School of Biosciences, University of Nottingham) ha illustrato le differenze nel funzionamento dei geni negli embrioni prodotti per clonazione rispetto a quelli ottenuti per fecondazione, indicando l’effetto di alcune sostanze quali la caffeina, capace di ripristinare i livelli di espressione alterati nei cloni. Lo sviluppo della metodologia necessaria per gli studi sulla differenziazione cellulare a partire dalle staminali embrionali è stato presentato dal suo pioniere, Minoru S. H. Ko (National Institute on Aging, NIH).
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di Carlo Alberto Redi Da Supplemento “Salute” di Repubblica del 25 maggio 2006 http://www.repubblica.it/supplementi/salute/2006/05/25/medicinaricerca/026cli49326.html
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