Terapia cellulare del diabete 1. E’ arrivato il momento?
Il diabete mellito di tipo 1 (DM) è provocato da una distruzione selettiva immunologicamente mediata delle cellule-beta che producono insulina nelle isole pancreatiche di Langherans con conseguente deficit di insulina. (1-2) Questo succede in individui geneticamente predisposti ed è un processo cellulare-mediato, presumibilmente una reazione specifica a uno o più proteine beta-cellulari (autoantigeni), anche se probabilmente scatenato da qualche fattore ambientale. La natura immunologica del DM di tipo 1 fu affermata in studi sugli uomini alla fine degli anni 80, inizio degli anni ’90, con la dimostrazione che interventi immunologici su pazienti neodiagnosticati risultavano in un declino rallentato della funzione beta-cellulare rispetto ai gruppi di controllo. (3-4) Negli ultimi anni, ci sono stati importanti tentativi per bloccare il processo del DM di tipo 1 sia in pazienti neodiagnosticati (5-6), che in familiari di pazienti con DM di tipo 1 nei quali c’erano prove che il processo distruttivo della malattia era iniziato.(7-8) Nonostante alcuni studi promettenti abbiano suggerito una migliore funzione beta-cellulare, nessun intervento certo ha portato in un aumento della funzione beta-cellulare. Per portare avanti gli studi per bloccare il processo del DM di tipo 1, il National Institutes of Health ha creato un network chiamato TrialNet sul Diabete di tipo 1 (10) per condurre trials controllati randomizzati sia in pazienti neodiagnosticati che in familiari a rischio. In questo numero di Jama, Voltarelli e i suoi colleghi, (11) riportano dati interessanti su un piccolo gruppo di pazienti sottoposti a un trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe (AHSCT) nelle 6 settimane successive alla diagnosi di diabete. Gli autori riportano che i pazienti sottoposti a AHSCT hanno aumentato la funzione beta-ellulare come provato da un incremento dei livelli del C-peptide e da più bassi livelli di emoglobina glicosilata (A1c) nonostante basse dosi o interruzione totale della terapia insulinica. L’uso potenziale del trapianto di midollo osseo (BMT) per modificare il corso del processo del DM di tipo 1 era stato proposto in studi sugli animali già nel 1985 usando midollo osseo allogenico. (12) Anche altri studi compiti sugli animali avevano soatenuto l’ipotesi. (13) Studi sugli uomini negli anni ’90 suggerivano che il DM di tipo 1 poteva essere trasferito a riceventi di BMT allogenico (14-15) e che l’utilizzo del BMT allogenico per curare tumori portava alla regressione di alcune patologie autoimmuni, fra cui il DM di tiopo 1. (16) Negli anni ’90 alcuni gruppi hanno esaminato l’uso potenziale del BMT nel DM di tipo 1, puntando particolarmente su modelli animali per comprenderne i meccanismi. (17-18) L’esperienza sugli uomini con il BMT, specificamente in tumori maligni, stava migliorando, tanto che nella prima parte degli anni 2000, cresceva l’entusiasmo per testare il BMT negli uomini con patologie autoimmuni, (19-20) incluso il DM di tipo 1. (21.22) Nel frattempo l’uso dell’ AHSCT in pazienti con altre patologie autoimmuni si dimostrava promettente, comprendendo la sclerosi sistemica, (23) l’artite reumatoide, (24) il morbo di Chron, (25) e il Lupus Eritematoso. (27) Uno studio recente ha ricapitolato lo stato attuale dell’ AHSCT nelle malattie autoimmuni (27) nonostante la carenza di comprensione di come l’ AHSCT agisca sui processi patologici delle malattie autoimmuni. (28) Sebbene lo scopo dell’ AHSCT per i pazienti con malattie autoimmunitarie sia di generare nuovi linfociti auto-tolleranti dopo aver eliminato linfociti autoreattivi, altri meccanismi, quali la generazione di un numero relativamente maggiore di linfociti regolatori o la differenziazione delle cellule staminali in nuove cellule più sane negli organi che sono stati danneggiati dal processo autoimmune, non devono essere esclusi. Il trapianto di cellule staminali autologhe umane prevede 3 passaggi: • mobilizzazione delle cellule staminali delle cellule CD34+ nel sangue periferico, • condizionamento (immunoablazione) del ricevente per eliminare i linfociti autoreattivi all’interno del corpo, e • re-infusione delle cellule staminali autologhe estratte nel primo passaggio e conservate in azoto liquido fino al momento dell’utilizzo. Il condizionamento mieloablativo, come con l’irradiazione linfoide totale, non è stato usato nell’ AHSCT. Questo metodo con 3 passaggi è stato utilizzato da Voltarelli et al. (11) Voltarelli e i suoi colleghi hanno arruolato nello studio pazienti neodiagnosticati con DM di tipo 1 in contrasto con gli studi sull’ AHSCT su altre patologie autoimmuni che avevano studiato pazienti con patologie refrattarie . Ad un primo esame questo potrebbe apparire inappropriato. Invece, c’è un beneficio dimostrabile dato da terapie immunomodulanti in altre patologie autoimmuni, siano esse DM di tipo 1 o no. Quindi la tempistica della terapia sembra appropriata. Inoltre, a causa della misurazione di un singolo anticorpo (anti-GAD) che può essere presente fino al 10% dei pazienti con DM di tipo 2, (29) si pone la domanda se pazienti con DM di tipo 2 siano stati arruola ti inavvertitamente; in realtà i pazienti sono sufficientemente caratterizzati, che non sembra questo essere il caso. Tutti i pazienti, eccetto 2, erano portatori degli alleli DR3, DQB1*0201 o DR4, DQB1*0302 dell’HLA ad alto rischio di DM di tipo 1, e gli altri 2 l’allele DR1,DQB1*0501 che determina un rischio medio. Tutti i pazienti erano giovani (tra i 15 e i 27 anni) e tutti avevano un indice di massa corporea inferiore a 25, tutti presentavano dimagramento, e tutti, eccetto uno, presentavano iperglicemia significativa; queste caratteristiche sono tipiche del DM di tipo 1. Nonostante le studio dimostri un miglioramento significativo della funzione beta-cellulare misurata dai livelli di C-peptide, ci sono limiti importanti. Primo, lo studio non include un gruppo randomizzato di controllo che non abbia ricevuto l’intervento o abbia ricevuto solo immunosoppressione o solo immunomodulazione. Secondo, la durata del follow-up per tutti i pazienti che sono stati sottoposti a AHSCT è insufficiente per stabilire se il miglioramento apparente dei livelli del C-peptide siano definitivi. Terzo, non è noto se gli effetti ipotetici dell’ AHSCT siano dovuti a ricostituzione immune o invece alterino la distruzione immuno-mediata delle beta cellule che si ha nel processo del DM di tipo 1 o a rigenerazione di cellule beta. (30) Quarto, c’è il conosciutissimo periodo di “luna di miele”, una remissione relativa che capita subito dopo la diagnosi del DM di tipo 1 che complica l’interpretazione dei risultati. (31) Voltareli e i suoi colleghi riconoscono questi limiti dichiarando che “è necessario un follow-up successivo per confermare la durata dell’insulinoindipendenza e i meccanismi di azione della procedura. In aggiunta, trials randomizzati controllati ed ulteriori studi biologici sono necessari per confermare il ruolo di questa procedura nel cambiare la storia naturale del DM di tipo 1 e per valutare il contributo delle cellule staminali ematopoietiche di questo cambiamento”. Queste appropriate note di cautela meritano di essere enfatizzate per evitare di creare false speranze basate sulla natura preliminare dei risultati dello studio. Lo studio di Voltarelli e dei suoi colleghi (11) è il primo di molti tentativi di utilizzare la terapia cellulare per bloccare il processo del DM di tipo 1. Altri approcci includono l’infusione di cellule dentritiche,(32-33) linfociti T-regolatori,(34) cellule del cordone ombelicale, (35) cellule staminali adulte o embrionali, (36-38) e BMT allogenico (21, 39) in aggiunta ad ulteriori studi sull’ AHSCT. La ricerca in questo campo esploderà nei prossimi anni e dovrebbe includere trials controllati e studi meccanici. Se questi studi ulteriori confermeranno e proseguiranno i risultati di Voltarelli e dei suoi colleghi (11) sarà veramente arrivato il momento che ci consentirà di prevenire e sconfiggere il diabete. References 1. Atkinson MA, Eisenbarth G. Type 1 diabetes. Lancet. 2001;358:221-229. JAMA. 2007;297:1599-1600. |
Da Dr. Skyler’s Editorial Traduzione di Daniela D’Onofrio 2 maggio 2007
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