Terapia del diabete a 2 velocità, costo frena nuovi farmaci
In Italia trattamento del diabete procede a 2 velocità: da una parte ci sono le insuline di ultima generazione, dall’altra gli antidiabetici orali ormai datati e spesso inadatti. E’ quanto emerge dal ‘Rapporto Arno Diabete 2015’, frutto della collaborazione tra la Società italiana di diabetologia (Sid) e il Cineca. Il 27% dei diabetici della Penisola viene trattato con insulina, da sola o in associazione ad altre terapie, e circa la metà degli 850 milioni di euro spesi ogni anno per le terapie viene sborsata per le insuline.
“Il maggiore costo a volte gioca contro i farmaci nuovi – afferma Enzo Bonora, presidente della Sid – ma se si considera la spesa nel suo complesso”, cioè quella di farmaci, dispositivi e patologie iatrogene come l’ipoglicemia, risulta “inferiore o comunque non superiore” con le moderne incretine, rispetto alle ‘vecchie’ sulfoniluree-glinidi. “Lo stesso ragionamento probabilmente lo si dovrà fare fra qualche tempo con la classe degli inibitori Sglt-2 – prevede l’esperto – non presenti nel Rapporto Arno perché sul mercato italiano solo dal 2015”. Il farmaco in assoluto più utilizzato in Italia per il trattamento del diabete, in conformità con le linee guida – precisano gli autori del Rapporto – è la metformina, somministrata a più dell’80% dei malati. Oltre il 40% è trattato con sulfoniluree o repaglinide, usate più spesso negli anziani, i più fragili e a rischio effetti indesiderati. Ancora molto limitato, pari a circa il 12%, l’uso delle incretine (inibitori Dpp-4 e agonisti del recettore Glp-1), nonostante il loro rapporto rischio-beneficio sia più favorevole. Stabile da anni l’uso di pioglitazone (5%) e acarbosio (3%).
“Si tratta di ottimi farmaci – dice Bonora – che meritano un’adeguata attenzione, nel contesto di quella personalizzazione della cura del diabete tipo 2 che è raccomandata dalle linee guida”. Radicalmente opposta la situazione sul fronte insuline: sono sempre più usati gli analoghi e sempre meno le vecchie insuline umane Dna-ricombinanti. “Questa transizione non sorprende – commenta Bonora – perché gli analoghi garantiscono maggiore sicurezza, stabilità glicemica e flessibilità. Resta comunque sorprendente il grande uso di insulina nel diabete tipo 2, spesso con multiple somministrazioni giornaliere, alla luce di un armamentario terapeutico oggi ricco di possibili e anche meno costose alternative”. Le insuline più usate sono glargine e lispro. Le persone diabetiche che fanno uso di dispositivi come lancette pungi-dito e strisce per la misurazione della glicemia, aghi per penne o siringhe, sono circa la metà del totale. Tropo pochi per gli esperti, “soprattutto se si considera che uno su 4 è in terapia con insulina e che il 40% assume farmaci (sulfaniluree o repaglinide) che espongono al rischio di ipoglicemia”, evidenzia Bonora. Numeri insufficienti, secondo il Rapporto, anche per i diabetici trattati per gli altri fattori di rischio cardiovascolare: “Solo il 72% prende un farmaco per l’ipertensione”, un dato che per il numero uno della Sid dovrebbe essere pari a “85-90%. Solo il 48% assume farmaci contro il colesterolo (dovrebbe essere il 60-70%), e soltanto il 34% antiaggreganti piastrinici (dovrebbe essere il 50-60%)”. Nelle persone con diabete la causa di ricovero più frequente è lo scompenso cardiaco, 3 volte più dei non diabetici; la seconda è l’insufficienza respiratoria, con tassi più che doppi. Percentuali analoghe anche per i ricoveri per infarto del miocardio e ictus. “Praticamente tutte le patologie determinano ricoveri più frequenti nei diabetici che nei non diabetici – conclude l’esperto – e questo conferma che tutte queste patologie andrebbero considerate come ‘complicanze’ del diabete”.