Terapia due-in-uno l’unione fa la forza

Confermata dagli studi presentati all’Easd l’efficacia e la sicurezza degli inibitori del Dpp-Iv. In arrivo a breve anche in Italia la pillola combinata sitagliptin-metformina

Può già vantare sei milioni di prescrizioni nel mondo il sitagliptin, uno degli ultimi farmaci lanciati nel panorama del trattamento del diabete. Segno anche questo del grande successo che sta riscuotendo tra medici e pazienti. Approvato in ottanta Paesi, è a disposizione dalla scorsa primavera anche in Italia. A breve poi dovrebbe arrivare anche la pillola due-in-uno (l’associazione sitagliptin-metformina), che consentirà ai pazienti un miglior controllo del diabete, riducendo al minimo il numero delle compresse. Gli studi hanno evidenziato che trattare il diabete fin dall’inizio con l’associazione sitagliptin (farmaco che stimola il rilascio di insulina dal pancreas) e metformina (farmaco che migliora la risposta dell’organismo all’insulina) determina notevoli miglioramenti nei livelli della glicemia nel corso di due anni di trattamento, durante i quali questa terapia è stata ben tollerata.

Il sitagliptin, oltre che con la metformina, può essere associato con sicurezza anche ad altre terapie in compresse abitualmente utilizzate per il trattamento del diabete, quali sulfaniluree e glitazoni.
E proprio un nuovo studio su 6000 pazienti seguiti fino a due anni è stato presentato all’Easd di Roma.

Il sitagliptin agisce inibendo l’azione del DPP-IV, un enzima depu tato alla degradazione delle cosiddette incretine (INtestine seCRETion INsulin), veri e propri ormoni prodotti in alcuni tratti dell’intestino, in risposta all’arrivo del cibo.

«Le incretine – spiega il professor Gabriele Perriello, responsabile Centro di Nutrizione Clinica, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Perugia – stimolano principalmente il pancreas a produrre insulina attraverso un’azione di potenziamento dell’effetto fisiologico legato al glucosio. Le principali finora conosciute sono il GLP-1 (glucagon-like peptide-1) e il GIP (glucose- dependent insulinotropic peptide)».

Andando a inibire l’enzima che distrugge le incretine, di fatto se ne prolunga l’azione (la loro vita media è brevissima, dura al massimo due minuti), consentendogli così di stimolare in maniera più efficace il rilascio di insulina, l’ormone abbassa-glicemia, da parte del pancreas.

«Gli studi sui diabetici – prosegue il professor Perriello – hanno dimostrato che le concentrazioni di GLP-1 dopo un pasto risultano ridotte in maniera significativa rispetto ai soggetti con glicemia normale. Queste osservazioni hanno stimolato lo sviluppo di nuove terapie per il diabete di tipo 2 che sono sfociate nella sintesi degli inibitori dell’enzima DPP- 4, allo scopo di aumentare i livelli di GLP-1, con conseguente aumento dei livelli di insulina circolanti».

 

 

da SPECIALE DIABETE di La Stampa.it

29 settembre 2008