Trattamento delle ferite difficili
Al di là degli aspetti strettamente clinici, quello delle feriti difficili è un problema che assume una grande rilevanza sociale: “ Riguarda, infatti, da vicino oltre il 50% della popolazione anziana del nostro Paese e l’1-2% di quella complessiva, considerando solo le ulcere agli arti inferiori ”, questa la stima fatta dal professor Nicolò Scuderi , Direttore della Cattedra di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva dell’Università di Roma “ La Sapienza ” Lesioni che originano, per la maggior parte, come esiti di altre patologie, ad esempio il diabete, la paraplegia e la tetraplegia, le ustioni, ma anche le malattie autoimmuni. Un problema, che oltre ad affliggere i pazienti e creare un danno sociale, grava non poco sul Servizio Sanitario Nazionale. Uno studio effettuato dal professor Francesco Grigoletto dell’Università di Padova, ha infatti rilevato che il costo di un trattamento standard per un’ulcera del piede diabetico è di ben 18.307 euro per paziente guarito. Lle nuove terapie – dall’ingegneria tessutale autologa alle medicazioni biointerattive – in particolare quelle che utilizzano l’acido ialuronico, sono in grado di far risparmiare circa 5 mila euro a paziente. Dal punto di vista clinico questi nuovi trattamenti, se utilizzati correttamente, garantiscono la ricostruzione completa di un tessuto cutaneo e permettono di raggiungere una maggiore percentuale di ulcere guarite (65% rispetto al 24% del trattamento tradizionale) con un minor numero di recidive (l’11,3% contro il 34% delle tecniche usuali); tutto ciò con un tempo di guarigione più rapido, quindi una minore ospedalizzazione, e una migliore qualità di vita. “ L’acido ialuronico è una delle sostanze di base del tessuto connettivo – ha spiegato il professor Scuderi – ed interviene positivamente sia nell’accelerare i processi di guarigione sia partecipando a quelli di modellamento e maturazione della ferita. Inoltre costituisce un ottimo substrato per la creazione di tessuti “artificiali ”. Tra i malati che potrebbero trarre un notevole vantaggio dal perfezionamento delle nuove terapie basate sull’ingegneria dei tessuti ci sono i tanti diabetici: in Italia sono più di 3 milioni, il 15% di questi sviluppa, tra le altre complicanze, lesioni ulcerative al piede. Nei paesi occidentali il diabete è la prima causa di amputazione non traumatica del piede e rappresenta circa il 60% di tutte le amputazioni di questo arto. “ Combattendo in modo efficace l’ulcera si evita anche il rischio, non raro, di amputazione ”, ha sottolineato il professor Giovanni Ghirlanda , Responsabile del Servizio di Diabetologia con Day Hospital del Policlinico Gemelli di Roma, Ordinario di Malattie del Metabolismo all’Università Cattolica; l’esperto ha poi evidenziato che “ dopo tale intervento radicale il tasso di sopravvivenza non supera il 40% dopo cinque anni e che, comunque, oltre la metà dei soggetti diabetici che lo subiscono hanno poi bisogno di ricorrere, entro 4 anni, all’amputazione anche dell’arto opposto ”. Una statistica che induce a riflettere su quanto sia spesso sottovalutato o non adeguatamente supportato da studi epidemiologici omnicomprensivi il composito capitolo delle ulcere e delle ferite difficili a guarire. L’obiettivo della riparazione tessutale si presenta, infatti, assai complesso e, proprio per tale motivo, necessita sempre di un team multidisciplinare di professionisti, medici ed infermieri appositamente formati. Una necessità fortemente richiamata dal professor Scuderi: “ Per evitare trattamenti inappropriati vanno favoriti gli incontri fra medici delle diverse specialità, in modo che possano confrontare le specifiche conoscenze e promuovere l’indispensabile aggiornamento professionale. Per Giovanni Micali , Presidente della C.O.R.T.E, professore fuori ruolo di Chirurgia Plastica all’Università di Catania, “E’ auspicabile che anche nel nostro Paese, come già da tempo avviene negli Usa, sorgano delle strutture dedicate alla cura delle ulcere, dove tutte le figure di riferimento possano afferire per gestire tali lesioni ed offrire ai pazienti, che oggi si rivolgono solo alla struttura di riferimento della patologia che le origina, la cura ed il supporto più idonei ”.
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liberamente tratto da Il nuovo medico d’Italia on-line 28 ottobre 2007
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