Trattamento farmacologico del diabete di tipo 2

Numerosi farmaci sono disponibili per il trattamento del diabete di tipo 2, e quelli più usati cercano di ridurre l’insulino-resistenza o di aumentare la produzione di insulina da parte delle beta-cellule. Purtroppo però, queste terapie e il modo di usarle appaiono ancora insufficienti, tant’è che oltre la metà dei pazienti diabetici hanno un controllo della malattia inadeguato che non li protegge dallo sviluppo delle complicanze. In particolare, è necessario cercare di far sì che i livelli di glucosio nel sangue, sia poco dopo i pasti, che nei periodi tra un pasto e l’altro (inclusa la notte), rimangano al di sotto di valori di riferimento che varie associazioni scientifiche nazionali e internazionali raccomandano con precisione e determinazione. Questi obiettivi potrebbero essere raggiunti nella misura in cui fosse possibile avere a disposizione farmaci capaci di prevenire, rallentare o auspicabilmente far regredire i danni a livello delle beta-cellule.

Gli ipoglicemizzanti tradizionali, in particolare i secretagoghi insulinici quali le sulfaniluree e le glinidi, sono certamente capaci di stimolare la liberazione di insulina da parte del pancreas, ma questa azione si realizza in modo non del tutto naturale. Infatti, i farmaci tradizionali possono produrre un eccesso di insulina in circolo causando ipoglicemia e favorendo l’aumento del peso corporeo. Inoltre, dopo un certo periodo di tempo (in genere pochi anni) l’efficacia di questi farmaci si riduce, probabilmente perché alcuni di essi potrebbero provocare effetti non del tutto benefici sulle cellule beta del pancreas.

Al contrario, i farmaci di nuova generazione basati sull’asse delle incretine stimolano in maniera più fisiologica la liberazione di insulina così che viene prodotta insulina solo quando la glicemia è più alta: questo fa sì che non si crei un aumento del rischio di ipoglicemia.

 

da Salute Europa