Un tesoro per la ricerca (5)
Venerdì scorso al San Raffaele c’era ad aspettarmi una papera.
Non so cosa voglia dire, ma sono arrivata sorridendo all’ambulatorio G (segui la riga rosa, chi conosce il San Raffa sa cosa voglio dire), passando per i corridoi e i cunicoli sotterranei, che ormai conosco meglio della cantina di casa mia.
Prelievo millemila della mia carriera di malata cronica.
Son talmente abituata ad aprire il braccio, stringere il pugno, vedere se ci sono vene disponibili, sentirle con le dita, che fare un prelievo o una flebo ormai è parte del mio vissuto quasi quotidiano. Come l’ospedale, come l’odore dell’insulina, come farmi decine di punture al giorno su pancia, cosce, dita, come prendere farmaci, come saltellare costantemente e funambolicamente su quel filo rosso che mi separa dalle iper e dalle ipo, dal cervello che esce liquido fuori dalla testa e dalla stanchezza cosmica, dalle mani che tremano e dalla paura di andare in coma, dalla lingua secca e dalla paura delle complicanze, che tanto, comunque, sono già arrivate.
Dare il sangue e saltellare è la mia quotidianità, la mia vita, la mia routine, la mia grandissima rottura di balle.
Di malattie croniche ne ho cinque.
Cronico vuol dire che non passa e non si cura definitivamente.
Tre sono malattie autoimmuni, forse quattro, lo dirà la ricerca.
Malattia autoimmune vuol dire che le tue difese immunitarie si sono rivoltate contro il tuo corpo e invece che uccidere virus o batteri esterni hanno ucciso un organo o una funzione più o meno vitale.
Tre sono mortali se non gestite correttamente 24/7.
Mortali vuol dire che se non prendi dei farmaci, muori. Ma i farmaci non ti curano, ti tengono in vita.
La più grave è il diabete di tipo 1.
Per il momento.
Pensavo alla papera e alla mia vita cronica quando mi sono resa conto che questo è il penultimo step prima della fine del trial cui sto partecipando.
E mi dispiace un casino.
Credo fermamente nel fatto che il bene più grande per la ricerca siamo noi malati.
Certo servono i soldi, tanti, io ne do molti alla ricerca, ma non avranno mai lo stesso valore di una cosa che solo io (e quelli come me possono donare) posso donare: il mio corpo di malata.
Io sono un tesoro! Lo sono tutti i malati che si mettono a disposizione della ricerca.
E siccome voglio guarire ho deciso di mettere a disposizione della ricerca il mio tesoro: il mio corpo e il mio pancreas morto o comunque addormentato.
Sto facendo un trial clinico che si chiama MonoRAPA. Non ha niente a che fare con le rape e non si mangia.
Ho iniziato a novembre e terminerò a febbraio.
E non c’è nulla di eroico o eccezionale nel partecipare ai trial.
In questo caso si tratta di andare in ospedale, fare delle analisi, sottoporsi a dei test, prendere dei farmaci (o placebo) per vedere se riattivano il pancreas. Io ho preso per un mese un immunosoppressore che si chiama Rapamicina (o placebo) e per tre un farmaco che si chiama Vildagliptin (o Placebo).
Il trial è a doppio cieco: ne gli scienziati ne io sappiamo cosa io abbia preso. Al laboratorio di analisi c’è un omino che lo sa, perché se ho reazioni avverse o qualcosa non va nelle mie analisi blocca tutto. Quindi la situazione è super safe anche seni farmaci somministrati sono pesanti.
Credo che raccontare il trial sia il modo più semplice per far capire a tutti che si può e si deve fare, se si è malati e si vuole che la ricerca trovi una cura alla nostra malattia.
Io sono il paziente numero 23 del Trial MonoRAPA, ne servono 60!
Bene, venerdì era il penultimo prelievo e visita. Mi preparo per il finale che sara col botto, visto che c’è il terzo pasto misto che mi aspetta (mangerò un macello di carboidrati senza fare insulina, atto contro natura per qualsiasi diabetico di tipo 1).
Ma soprattutto mi preparo ad un nuovo Trial. Perché non ha senso non donare un tesoro, quando lo si ha!
Chi mi fa compagnia? La ricerca ha bisogno di noi!
http://dri.hsr.it/studi_clinici/studi-clinici-in-corso/
E se non siete malati potete comunque darci una mano per trovare una cura (peraltro se si capisce l’origine del diabete di tipo 1 c’è caso che si capisca anche l’origine di tutte le altre malattie autoimmuni, quindi avreste aiutato non solo me e quelli come me, ma milioni di malati in tutto il mondo, malati che lo sono per lo più sin da bambini).
#noncecurasenzaricerca
#untesoroperlaricerca
di Francesca Ulivi