Una gabbietta produce insulina
Una gabbietta cilindrica di acciaio dal diametro di 5 millimetri e lunga 2 centimetri, introdotta sottopelle e popolata da vasi sanguigni, diventa una fabbrica di isole pancreatiche, le cellule produttrici dell’insulina distrutte nelle persone colpite dal diabete di tipo 1.
Questa nuova arma contro il diabete, descritta in un articolo pubblicato on line nella rivista internazionale Trasplantation, é stata finora sperimentata sui ratti con risultati positivi, tanto che i primi test sull’uomo potrebbero partire entro due anni negli Stati Uniti e in Italia.
Lo ha detto a Pavia il direttore della divisione di Trapianto cellulare e direttore dell’Istituto di Ricerca sul Diabete dell’università di Miami, Camillo Ricordi, a margine del convegno internazionale sulle staminali.
“Siamo completamente entusiasti. Abbiamo inequivocabilmente dimostrato per la prima volta che le cellule produttrici di insulina possono sopravvivere e funzionare a lungo termine dopo il trapianto in un dispositivo pre-vascolarizzato”, ha detto Ricordi. “A differenza dei modelli precedenti, la geometria di questo dispositivo potrebbe facilmente essere adattata in vista dei trial clinici. Si apre la possibilità di creare un organo bioartificiale che potrebbe rimpiazzare la pratica attuale, che consiste nell’iniettare le isole pancreatiche nel fegato”.
I ricercatori prevedono di presentare nei prossimi mesi la richiesta di autorizzazione per i test sull’uomo all’ente statunitense per il controllo sui farmaci, la Food and Drug Administration (FDA). Secondo Ricordi “ci vorranno uno o due anni per partire sull’uomo, con trial negli Stati Uniti, a Miami, e in Italia, nell’Istituto Meridionale Trapianti (ISMETT) di Palermo e nell’Istituto San Raffaele di Milano”.
Un dispositivo del genere potrebbe segnare un cambiamento radicale nel trapianto di isole pancreatiche, necessario per rimpiazzare queste cellule importantissime per regolare il livello di zuccheri nell’organismo.
“Le potenzialità di questa nuova tecnica sono enormi, considerando che il trapianto di isole pancreatiche attualmente viene fatto nel fegato, un sito ostile per le cellule produttrici di insulina”, ha detto a Pavia uno degli autori del lavoro, Antonello Pileggi, dell’Istituto per la Ricerca sul Diabete di Miami. Nel fegato le isole pancreatiche vengono attualmente iniettate attraverso il principale vaso sanguigno che alimenta l’organo, la vena porta.
Ma i rischi sono molti, dal rischio di sanguinamento e trombosi alla difficile ossigenazione, alla difficoltà nel controllare l’andamento del trapianto, anche con la biopsia. Più di ogni altro tipo di cellule, le isole pancreatiche hanno bisogno di alti livelli di ossigeno. “Per questo – ha detto Ricordi – hanno bisogno di una sede ben vascolarizzata”. In caso contrario si possono verificare problemi di ipossia, come a volte accade quando vengono trapiantate nel fegato. Grazie alla “gabbietta” , ha rilevato Ricordi, diventa possibile “manipolare un microambiente per il trapianto cellulare, in modo da creare un sito ideale per l’attecchimento delle cellule”.
Il dispositivo è formato da una maglia di acciaio inossidabile e materiale plastico biocompatibile, che permette di far crescere i vasi capillari al suo interno. Soltanto quando i vasi sanguigni si sono ben sviluppati, a 40 giorni dall’impianto sottopelle, si passa alla seconda fase, che consiste nell’introduzione delle cellule produttrici di insulina all’interno del dispositivo.
ANSA
17 maggio 2006