Xenotrapianti: Esperienza Clinica e Considerazioni Etiche.
I progressi significativi raggiunti nel campo dei trapianti hanno portato ad una domanda sempre crescente di organi ampliando il divario tra disponibilità e necessità. Una maggiore reperebilità di organi permetterebbe criteri di selezione meno restrittivi. Se e quando la tecnica dello xenotrapianto, ossia il trapianto di un organo da animale a uomo, sarà eseguita con successo, sia esso di fegato, rene o pancreas, questo aprirà le porte alla pratica estesa degli xenotrapianti di tutti i tipi di organo. L’uso di pancreas animali potrebbe significare una più ampia disponibilità di cellule produttrici di insulina, una maggiore opportunità di trapianto ed una vita libera dall’insulina e dalle complicanze diabetiche per i pazienti diabetici. Questa possibilità giustifica chiaramente il rinnovato interesse per gli xenotrapianti osservato negli ultimi dieci anni. Vorrei descrivere brevemente gli unici due casi di trapianto di fegato da babbuino aduomo della storia della medicina (ai quali ho preso parte nel 1992 e nel 1993) e sottolineare i problemi etici sollevati dall’idea stessa di xenotrapianto. Background storico I primi tentativi di xenotrapianto d’organo sono stati eseguiti in Europa nel 1906, usando un maiale ed un macaco come donatori di reni. Nessuno dei trapianti ebbe buon esito a causa di una quasi immediata trombosi vascolare, e il trapiantato morì in meno di tre giorni. Ulteriori tentativi furono fatti successivamente, soprattutto utilizzando reni e un numero limitato di cuori (nel 1923, 1963 – 64 e nel 1984). Nonostante il processo di rigetto non fosse compreso perfettamente all’epoca, le descrizioni fornite allora per tale complicanza non si discostano di molto da quelle accettate oggi e che pongono al centro del problema la componente anticorpale. Per quasi dieci anni (dal 1984 al 1992) non vennero eseguiti altri tentativi clinici di xenotrapianto. Il 28 giugno 1992 e il 10 gennaio 1993 due fegati di babbuino furono trapiantati su due riceventi presso l’Università di Pittsburgh. Il trial clinico fu coordinato da Thomas Starzl, il pioniere che nel 1963 realizzò il primo trapianto di fegato nell’uomo. Il processo di consenso Nel 1991 l’Istituto di Trapianti Thomas E. Starzl di Pittsburgh notificò al National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Disease del NIH, alla FDA e al Segretario del Dipartimento di Salute e dei Servizi Umani l’intenzione di procedere con il progetto clinico di xenotrapianto di fegato. Il protocollo per questo trial umano prevedeva il trapianto di fegato da babbuino a uomo per la cura della cirrosi in fase terminale causata dal virus dell’epatite B cronica. Il principale beneficio per i pazienti selezionati per il trial era la possibilità che la malattia virale non reinfettasse il fegato xenotrapiantato. Il trapianto fu comunque concepito come sostituzione permanente dell’organo animale in caso di insufficienza epatica nell’uomo. I primati non umani furono scelti come donatori perchè condividono molte caratteristiche fisiologiche e genetiche con gli uomini. Fra i criteri di selezione dei donatori animali; gruppo sanguigno, cross-match linfocitotossico, valutazione biochimica, virale e batteriologica completa. Tutti i donatori potenziali furono testati per retrovirus, herpesvirus, ed i virus dell’epatite. Anche gli animali vennero esaminati per escludere la presenza di tubercolosi e toxoplasmosi, e furono eseguite colture di routine di campioni di sangue e di feci. I babbuini sono fisicamente più piccoli degli uomini ma un fegato di un donatore più piccolo può crescere rapidamente e adattarsi alla taglia del ricevente. Un numero di donatori adatti fu selezionato e messo in quarantena prima del trapianto. L’operazione sul donatore fu eseguita secondo la tecnica tradizionale usata dal nostro gruppo. Il primo ricevente era un uomo di 35 anni, HIV positivo, ma con una conta di linfociti CD4 normale. Il secondo era un uomo di 62 anni. Entrambi avevano un’insufficienza epatica terminale secondaria all’epatite B cronica attiva. Il protocollo immunosoppressivo comprendeva 4 farmaci: tacrolimus, steroidi, ciclofosfamide e prostaglandina E1. Il primo paziente sopravvisse 70 giorni dopo il trapianto. Trascorse la maggior parte del tempo in una regolare corsia di ospedale con una funzionalità epatica quasi normale per tutti i 70 giorni. Il secondo paziente, molto più anziano, non riprese mai conoscenza, rimase itterico, e sopravvisse solo per 26 giorni. Solo la biopsia eseguita sul primo paziente il 12° giorno dopo il trapianto mostrò leggeri segni di rigetto cellulare, mentre non si riscontrò nessun rigetto cellulare acuto nelle altre biopsie di entrambi i pazienti. Visto che il periodo di follow-up fu breve, fu impossibile giungere a conclusioni definitive sulla possibilità di una resistenza nel lungo periodo da parte del fegato del babbuino contro una recidiva dell’epatite B. Entrambi i fegati mostrarono una rigenerazione estremamente rapida, come accade normalmente nell’allotrapianto di fegato o dopo una resezione epatica. Il fatto più inquietante della nostra esperienza nei trapianti di fegato da babbuino a uomo fu la differenza tra l’incoraggiante assenza di rigetto riscontrato tramite le indagini istopatologiche e le scoraggianti deficienze funzionali di questi xenotrapianti, che suggeriscono un controllo incompleto del rigetto. Il nostro sospetto è che questi fegati furono danneggiati gravemente da una versione incompleta di una forma iperacuta di rigetto.
Opzioni Future A partire dagli anni ’60 sono state tentate molte metodiche di manipolazione del sistema immunitario dei riceventi di xenotrapianti, senza alcun successo definitivo. Non hanno avuto esito positivo nemmeno i tentativi di modificazioni degli xenoinnesti prima del trapianto. L’introduzione del concetto di chimerismo sistemico ha sollevato l’interesse nel progettare strategie volte ad alterare la composizione cellulare dell’organo da trapiantare. In alcuni laboratori è iniziata la realizzazione di maialini transgenici da utilizzare come fonti di organi per xenotrapianti clinici. Ciononostante è difficile sperare di ottenere un controllo completo del rigetto esclusivamente con questo metodo. Un’altra possibilità estremamente affascinante è la produzione di organi chimerici. Nei laboratori del Thomas E. Starzl Transplantation Institute di Pittsburgh sono già stati eseguiti alcuni trapianti di midollo osseo prelevato da esseri umani ed infuso in alcuni babbuini precedentemente condizionati con radiazioni non letali. Come recentemente dichiarato dal Prof. Thomas Starzl: “Occorre verificare se un chimerismo incompleto o anche completo potrà modificare l’immagine degli organi dei babbuini al punto di farli riconoscere come allotrapianti dagli uomini”. Problemi Etici Esistono ancora molti problemi pratici da superare prima che lo xenotrapianto divenga realtà. Il principale è costituito dal rigetto; un altro è assicurare che gli organi xenotrapiantati funzionino correttamente nel ricevente; c’è poi la necessità di minimizzare il rischio di introdurre nuovi agenti infettivi nella popolazione umana. Inoltre ci sono considerazioni antropologiche, fisiologiche ed etiche, così come problemi legali e procedurali da esaminare accuratamente. Ad esempio: l’accettabilità dell’intervento umano in materia di manipolazione della specie, la possibilità etica di utilizzare animali per migliorare le probabilità di sopravvivenza e il benessere degli uomini; l’impatto possibile, oggettivamente e soggettivamente, che un organo o un tessuto di origine animale possa avere sull’identità del ricevente umano. La vita animale ha un suo valore specifico che l’uomo deve riconoscere e rispettare. In un certo senso, lo xenotrapianto rappresenta per l’uomo un’ulteriore opportunità di responsabilità dell’uso ragionevole del potere a lui concesso. Su un livello pratico è sufficiente un semplice sguardo alla storia dell’umanità per mostrarci che l’uomo ha sempre diretto la storia del mondo, controllando gli altri esseri viventi e non viventi secondo scopi precisi.Questa superiorità è fondata proprio sulla natura della persona umana, la cui dimensione razionale e spirituale ci pone al centro dell’universo, in modo da farci utilizzare le sue risorse (inclusi gli animali) in modo saggio e responsabile, alla ricerca della vera “promozione” di ogni essere. Devono comunque essere considerati anche altri due problemi di natura etica. In primo luogo la questione dell’utilizzo di animali per aumentare le probabilità di sopravvivenza dell’uomo; il punto di partenza ovvio è il modo particolare in cui si considera la relazione tra uomo e animale. In secondo luogo, c’è la questione di quanto sia accettabile rompere la barriera biologica tra uomo e animale. Per ciò che riguarda il primo problema, vi sono ricercatori che credono che uomini e animali abbiano uguale dignità, mentre altri ritengono che gli animali possano sempre e comunque essere utilizzati dall’uomo. Nel primo caso, l’uso degli animali è giudicato come un gesto tirannico da parte dell’uomo sull’animale e, secondo questa linea di pensiero, persino la sofferenza dell’uomo non potrebbe giustificare l’uso degli animali. Nel secondo caso si ritiene che l’uomo possa utilizzare gli animali in modo arbitrario senza sentirsi limitato da considerazioni etiche. Dal mio punto di vista, gli uomini hanno una dignità unica e maggiore rispetto al resto del mondo animale. Essi devono comunque “rispondere” del modo in cui trattano gli animali. Di conseguenza, il sacrificio degli animali può essere giustificato solo se necessario per raggiungere un beneficio importante e vitale per gli uomini, proprio come potrebbe valere per gli xenotrapianti di organi o di tessuti nell’uomo, e solo con questo presupposto possono essere accettabili esperimenti su animali e/o manipolazioni genetiche su di essi. Indubbiamente, anche nell’utilizzo degli animali, l’uomo deve osservare certe imprescindibili condizioni: le sofferenze devono sempre essere evitate; devono essere rispettati criteri di reale necessità e di ragionevolezza; devono essere evitate manipolazioni genetiche che possano alterare la biodiversità e l’equilibrio della specie nel mondo animale. La questione dell’accettabilità di un organo animale è anche un problema culturale e fisiologico. Ogni valutazione etica dello xenotrapianto deve necessariamente affrontare il problema se l’introduzione di un organo estraneo nel corpo umano modifichi l’identità della persona. E, se la risposta è affermativa, bisogna chiedersi fino a che punto una tale modificazione sia accettabile. Possiamo definire l’identità personale come la relazione di irripetibilità di un individuo e il nucleo essenziale del suo essere persona e del sentirsi persona. Si potrebbe osservare che non tutti gli organi del corpo umano sono in egual misura l’espressione di un’identità irripetibile della persona. Ce ne sono alcuni che eseguono esclusivamente la loro funzione specifica; altri invece aggiungono alla loro funzionalità un elemento simbolico personale che dipende inevitabilmente dalla soggettività dell’individuo; ed altri ancora, come il cervello o le gonadi, sono indissolubilmente legati all’identità personale del soggetto a causa della loro funzione specifica, indipendentemente dalle loro implicazioni simboliche. Inoltre, si può concludere che quegli organi che sono percepiti come puramente funzionali e quelli con maggiore significato personalizzato devono essere determinati caso per caso, specificamente in relazione al significato simbolico che essi assumono per ogni individuo. Quando arriverà il momento dell’applicazione clinica dello xenotrapianto, sarà necessario selezionare con cura i pazienti, basandosi su criteri chiari e ben prestabiliti, e monitorarli costantemente. Nell’applicazione clinica dello xenotrapianto, la psicologia dovrà giocare un ruolo importante. Per ciò che riguarda l’aspetto costi-benefici, l’enorme spesa sanitaria sostenuta in questi casi è giustificata dall’urgente bisogno di cercare di salvare la vita di sempre più pazienti, che non avrebbero altrimenti alcuna possibilità di sopravvivenza. Bisognerebbe anche aggiungere che finché lo xenotrapianto rimane ad uno stadio sperimentale, non dovrebbe essere soggetto ai criteri applicati alle cure mediche in senso stretto; piuttosto, andrebbe valutato seguendo i criteri usati per i trials. Inoltre, occorre considerare i prevedibili benefici collettivi che si potrebbero ottenere nel futuro. Ogni decisione concernente gli sviluppi clinici degli xenotrapianti deve essere basata sul principio etico di procedere con la maggior prudenza possibile. E’ necessario che gli esperimenti preclinici (da animale ad animale) continuino finché gli scienziati lo riterranno opportuno e finché non saranno raggiunti risultati positivi ripetuti, considerati sufficienti per poter iniziare la sperimentazione clinica sull’uomo. Quando il momento arriverà, sarà eticamente corretto coinvolgere all’inizio solo un gruppo ristretto di pazienti, che non potrebbero essere salvati da un allotrapianto e per i quali non esiste una cura alternativa. Ogni trial clinico sperimentale dovrebbe essere condotto da centri altamente specializzati di provata esperienza, autorizzati e supervisionati dalle autorità sanitarie competenti. I risultati ottenuti, se inequivocabilmente positivi, dovrebbero costituire la base per rendere lo xenotrapianto una terapia chirurgica accettabile. Infine, è auspicabile che venga raggiunto al più presto possibile un sostanziale consenso internazionale in ambito legislativo mediante un reale coordinamento di differenti livelli. Rigraziamenti. Questo articolo è ispirato ad un documento publicato a cura dell’Accademia Pontificia per la Vita, istituita da Sua Santità Giovanni Paolo II, nel 2001. Ignazio R. Marino è un componente del gruppo di lavoro internazionale, con specifica competenza negli xenotrapianti, che ha sottoscritto il documento. Si ringrazia anche la Dr.ssa Claudia Cirillo per l’insostituibile assistenza nella preparazione di questo articolo.
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Di Ignazio R. Marino, MD, FACS, Direttore della Divisione di Chirurgia Epatobiliare e del Trapianto di Fegato e Direttore della Divisione Trapianti
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